Le tecniche di fabbricazione della carta vengono dalla Cina.
In Cina si stampava già, con le matrici in legno, più di 500 anni prima di Gutenberg.
Difficile trovare una cultura più legata alle lettere di quella cinese, in cui la scrittura, a differenza di quanto accadeva nell’antica Roma e in Grecia, dove a scrivere erano gli schiavi, era considerata — come riporta Ewan Clayton nel suo bellissimo saggio sulla storia della scrittura, Il filo d’oro — «una dimostrazione non solo del proprio livello culturale, ma anche di un allineamento gestuale e fisico con le fonti universali della vita e dell’energia».
Nella società cinese come, più in generale, in oriente, scrivere non è solo un mezzo per comunicare e registrare ma anche un’espressione di sé, legata a doppio filo, in maniera organica, alle arti e ai riti che sono manifestazione del “movimento vitale” e dell’equilibrio interiore, esattamente come le arti marziali, il teatro, la danza, la pittura. Un concetto che per noi occidentali è a dir poco sfuggente.
«Lasciate che vi spieghi», scriveva nel 1938 il calligrafo Wen-chün Ting nel suo libro Principi essenziali di calligrafia. «Ogni cosa in questo mondo può trasformarsi in figura. Nel regno della terra il fluttuare delle acque, le montagne torreggianti, il franare delle rocce, il diradarsi della vegetazione sui picchi; nel regno dei cieli le stelle raccolte intorno all’Orsa Maggiore e quelle che brillano più lontano, il sole calante e il levarsi luminescente della luna; nel regno degli uomini una fanciulla che si sistema un fiore fra i capelli o un guerriero che brandisce la spada; nel regno dell’aria il vento che soffia e le nubi che solcano il cielo, le pioggerelline leggere e le fitte nebbie; nel regno degli esseri viventi il cigno che solca le acque e le ninfee cullate dalle onde. Quando percepiamo queste figure, le interiorizziamo e le trasformiamo in immagini significative, che poi esterneremo nelle varie arti».
Anche in Cina, così come in occidente, la scrittura si è evoluta (poteva non farlo visto il legame strettissimo con il movimento?), sono nati e continuano a nascere moltitudini di caratteri tipografici diversi, e questo non fa che aumentare la difficoltà per chi cerca di capire e abbracciare il panorama della tipografia cinese, che pure sta vivendo — esattamente come accade da noi — un momento d’oro, tra type designer che sperimentano, libri che trattano l’argomento, e workshop su stampa, calligrafia e design.
A offrire un punto di vista su questo tema, e allargando l’indagine alla cultura visiva e all’identità culturale cinese, arriva un documentario, Hanzi, prodotto da Mu-Ming Tsai e Iris Lai, già artefici di altri due film sul design: Design & Thinking e Maker.
Prendendo in prestito il titolo dal nome dei logogrammi, chiamati appunto hanzi, Tsai e Lai hanno collaborato con filmmaker di Londra, New York, Hong Kong e Taipei andando a intervistare designer e tipografi sia orientali che occidentali e andando a esplorare il modo in cui un linguaggio può plasmare un’identità, l’evoluzione della scrittura cinese e il ruolo della calligrafia nell’era digitale.
Vincitore del premio come miglior film allo Urban Nomad Film Festival del 2017, Hanzi si può ordinare sia in versione digitale che in DVD.