La prima cosa che voglio dire è che, se cercate la parola posata su Google, il caro motore di ricerca vi proporrà quattro significati che sono certo non avreste nemmeno valutato.
La posata può infatti essere il sedimento di un liquido, una certa figura nell’equitazione di alta scuola, una sosta o un antico tributo siciliano. Solo dopo vengono la forchetta e il participio passato del verbo posare, che può sostantivarsi e, come suggerisco io, ricordarci una persona pacata, calma, riflessiva.
Non so, questa cosa mi ha fa ridere un po’ perché penso sia l’unica volta che Google mi abbia fatto imparare qualcosa di nuovo e inaspettato. Da grande ricettacolo della media mondiale del pensiero, la sua barra di ricerca mi pare infatti la negazione stessa della ricerca: al massimo guardiamo i primi tre risultati, senza alcun approfondimento e addirittura cliccando sulle pubblicità invece che su risultati veri.
Una specie di maledizione, una contraddizione in termini.
Se vogliamo imparare qualcosa, smettiamo di usare Google, perché questa cosa della posata è un caso più unico che raro.
Invece della sua barra di ricerca, usiamo quella di un quotidiano straniero, o quella di Frizzifrizzi. Per vedere qualcosa, invece che Google Immagini sfogliamo le stampe o guardiamo i manufatti custoditi nei musei civici del comune in cui ciascuno di noi è nato.
Ad agosto di tempo ce n’è, sia per mangiare bene che per ragionare con calma.
Tutto questo con i miei migliori di buone ferie a tutti.