Sono un libraio, ma c’è un libro che non posso vendere nella mia libreria.
Si tratta di Come Svanire Completamente, di Alessandro Baronciani. Non posso venderlo perché ho dimenticato di segnare in agenda la data entro cui avrei dovuto effettuare l’ordine e dopo la quale sarebbe stato troppo tardi. L’autore ha infatti deciso di produrre il libro con un metodo che ha chiamato “Adesso o mai più”: ha raccolto le prenotazioni fino ad una certa data e ha stampato solo le copie del libro che gli sono state richieste fino a quel momento.
Come Svanire Completamente (da ora in avanti CSC, ndr) è una storia d’amore scritta in frammenti racchiusi in una scatola. Una volta aperta, si può iniziare da dove si vuole e bisogna riuscire a completarla a mente, sforzandosi di stuccare le crepe del racconto per afferrare l’evanescenza dei ricordi.
Alessandro scrive e disegna fumetti da sempre, gli ho chiesto come è andata questa volta e ho colto l’occasione per togliermi dei dubbi che avevo da tempo.
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Nel tuo percorso da fumettista e illustratore hai sperimentato diverse forme di distribuzione delle tue opere: per esempio l’abbonamento, quando spedivi le storie tramite posta ad una lista di iscritti. Quest’ultima esperienza si avvicina di nuovo a quella prima forma di contatto con i tuoi lettori?
Non ci avevo pensato. Me ne sono accorto quando ho iniziato a raccogliere i fondi per CSC. Diciamo però che all’inizio era andare in cerca dei miei “lettori”. Mi chiedevo se in giro per l’Italia ci fossero persone interessate a quello disegnavo, alle storie che raccontavo. Un’avventura che mi ha segnato. Anche perché mi piaceva stampare senza rischiare di avere copie non vendute dei miei fumetti. Facevo fotocopie on demand, in base alle persone che mi scrivevano.
CSC è una cosa un po’ più complessa. C’era una interazione molto forte con il lettore che comprava il libro, leggeva le storie sul blog fino a quando dal sito la protagonista è scomparsa per poi riapparire a casa del sostenitore.
“Adesso o mai più” è il meccanismo di raccolta fondi che hai ideato ispirandoti al “primaomai”. È un sistema di ricatto che sembra funzionare. È la risposta corretta ad una editoria stressata dalle esagerazioni? Quali sono i suoi limiti?
No, non è una risposta corretta ad una editoria stressata dalle esagerazioni. È un modo geniale per creare progetti difficile da generare per l’editoria.
Più volte abbiamo parlato in Bao (la casa editrice con cui collaboro) di come portare questo cofanetto-libro in libreria: era impossibile. I costi si moltiplicavano appena andava in mano al distributore. Per non parlare della gestione dei probabili resi, le copie aperte con i pezzi mancanti e soprattutto il fatto che ad un lettore entrato per caso in una libreria questo cofanetto dal prezzo triplicato diventava poco appetibile.
La raccolta fondi è riuscita dove l’editoria normale non poteva riuscire. Non è uno scontro, non ci sono “mulini a vento”. È un controsenso ma in questo caso la raccolta fondi è l’utilizzo del web per il trionfo della carta.
I tuoi libri editi sono stati pubblicati con due case editrici molto importanti per il fumetto in Italia, ma con destini assai differenti: Black Velvet (dalle cui ceneri è nata theBox che è andata incontro alla stessa fine) e Bao Publishing che al contrario sembra godere di ottima salute.
Cosa puoi dire della tua esperienza con l’editoria più “tradizionale”, tenendo in conto che i tuoi primi titoli sono, al momento, non più reperibili.
Black Velvet era una casa editrice creata da Omar Martini che mi seguiva dai tempi delle mie prime autoproduzioni. Era un abbonato. Omar faceva l’editor, correggeva le bozze, prendeva le copie in tipografia e le portava ai festival. In un certo senso, all’inizio era come autoprodursi. Stiamo parlando di circa dieci anni fa, quando era difficile vendere 500 copie di un libro. Gli accordi erano a voce, nessun contratto. Non mi interessavano. Lui stampava e io mi prendevo le copie come pagamento così potevo andare in giro a venderle per conto mio attraverso festival e presentazioni in librerie. Quando finivo i libri li ricompravo da Omar così — senza distribuzione — la prima tiratura di “Una storia a fumetti” — 1300 copie — finì nel giro di un anno!
Quando venne acquisita da Giunti arrivarono anche i contratti, e gli anticipi e gli interessi sui diritti d’autore. Poi le cose non funzionarono e i libri rimasero intrappolati in Giunti fino all’anno scorso.
Con Bao l’unica differenza è che non sono più al primo libro. Per il resto i rapporti sono gli stessi. Anche Caterina era una abbonata. Mi seguiva ai tempi delle mie prime autoproduzioni e spesso andavamo a concerti insieme. Quindi per me c’è un rapporto di amicizia, fiducia e oggi anche di lavoro. Senza non si va da nessuna parte.
Hai scritto a quattro mani un fumetto di grandissimo successo con Colapesce (al secolo Lorenzo Urciullo), “La distanza”, artista con cui hai dato vita anche al tour del “Concerto Disegnato”. Come avete progettato assieme queste esperienze? Come avete deciso di scrivere un libro?
Dopo un concerto. È nato tutto intorno ad un concerto fatto insieme. Lui voleva finire il tour del primo disco in Sicilia nei teatri occupati e mi invitò. Io accettai subito. Ero un fan e avevo consumato “il Meraviglioso Declino”. Mi piaceva l’idea di fare un tour insieme. È nato un po’ alla volta. Come il libro. Siamo diventati amici e adesso quando parto per Milano mi dico sempre che ci vogliono le stesse ore per arrivare a Catania.
Di Colapesce c’è pure un cameo in CSC che mi ha fatto ridere un sacco. Ti piace nascondere citazioni nei tuoi lavori?
Sì, soprattutto quelle che non riesco a scoprire. Spesso le citazioni sono ostentate o facilmente intuibili. In questo caso era un riconoscimento. Mi piaceva che ci fosse anche lui dentro il libro. Insieme anche ad altri amici che mi hanno dato una mano nella creazione del libro. C’è anche un Davide Eltoro, ad esempio, un Frank D’Erminio e un Andrew Tundercomb.
Il tuo stile nel disegno è diventato iconico e autoriale, vanti molti tentativi di imitazione e le tue illustrazioni sono riconoscibili a primo sguardo. Ma specialmente rimangono iconiche le acconciature femminili, anche in CSC, a cui in passato hai anche dedicato delle serie. I capelli con i loro ciuffi, l’irrequietezza, l’eleganza e la loro continua sfida gravitazionale trovano una rappresentazione efficace e poetica nella tua interpretazione, tanto che alcune tue illustrazioni mi vengono in mente ogni volta che mi innamoro.
Quanto è importante avere un tratto così riconoscibile?
Eh! Domanda difficile.
Inutile ricordare quanto sia presente la musica nella tua vita: oltre ad essere un musicista, hai firmato svariati artwork per altri gruppi, etichette ed eventi musicali. Quanta musica c’è in CSC?
Tanta. Ci sono dei riferimenti anche soltanto all’immaginario di certi gruppi, di certa musica. Non è vero che siamo fatti per l’ottanta per cento di acqua, io penso che siamo fatti per l’ottanta per cento di musica.
CSC, in un certo senso, è dedicato ai supporti che ci siamo perduti nel tempo . La mia generazione ne ha visti tanti svanire nel nulla. Di alcuni dischi possiedo la versione in cassetta, in vinile e poi in cd e in cd in versione deluxe. Li ho scaricati e poi comprati di nuovo e adesso li ascolto in streaming. E tutte le volte mi sento di aver perso qualcosa. La musica che non si possiede.
Anche il protagonista nel libro vuole la ragazza. La vuole per se, la vuole possedere. E lei è sempre così evanescente. Immateriale. Slegata dai rapporti e dai supporti .
In CSC c’è una evoluta sperimentazione tipografica e di progettazione del libro in quanto oggetto. Era successo, ma in forma diversa, anche con “Le ragazze nello studio di Munari”, dove alcune pagine presentano nobilitazioni particolari, in una addirittura la floccatura (tecnica con cui si ricrea l’effetto velluto, in questo caso sulla carta, ndr) per imitare il vello di pecora. Oltre a far impazzire i tipografi, cosa vuoi trasmettere rendendo arguti i processi di produzione materiale dei tuoi libri?
“Le Ragazze nello studio di Munari” era un fumetto dove volevo parlare di uno degli artisti più importanti del dopoguerra. Ha lavorato su diversi campi, grafica, design, arte, editoria e illustrazione in maniera incredibile. Volevo dedicargli un libro, una specie di biografia, ma poi ho pensato al suo libro più famoso: “Da cosa nasce cosa”. E quindi ho disegnato questa storia che ne ripercorre le sue invenzioni creando, o meglio cercando di creare, qualcosa di nuovo.
A proposito di Munari, leggendo il tuo libro ho pensato spesso a il suo “Il mare come artigiano”. Uno dei protagonisti della storia infatti è proprio il mare con la sua sterminata simbologia e con i suoi poteri di distruzione e creazione continua, oltre che di “limite”.
Quello di riuscire a vedere qualcosa in qualcos’altro è uno degli insegnamenti più grandi che ci ha lasciato. Il riciclo, ad esempio, nasce dalle prime sperimentazioni di riutilizzo dei materiali. I suoi laboratori scolastici erano pionieristici, oggi la creatività passa innanzitutto dalla creazione di una cosa nata da un’altra cosa.
Vabbè poi io mi sono divertito mettendo nel mio libro a fumetti un po’ di storie d’amore, un po’ di cinema e un po’ di ragazze!
Il tuo fumetto è racchiuso in una scatola, che è un oggetto di grande evocazione. Io racchiudo foto e biglietti e ricordi in piccole scatole dividendole per mesi che poi non ho mai il coraggio di riaprire e ho incontrato la stessa difficoltà a “violare” il sigillo che chiudeva CSC.
Nel mondo del fumetto la scatola è stata sfruttata magistralmente da Chris Ware in “Building Stories”, che proprio Bao porterà in Italia, ma mi viene in mente pure, nell’ambito dell’arte contemporanea, On Kawara, la cui serie di opere “Today” è composta da scatole il cui interno è foderato dai fogli dei quotidiani risalenti alla data che poi viene dipinta in bianco sul coperchio nero. In letteratura, invece, penso a Queneau o Perec, che con l’OuLiPo hanno introdotto il concetto di “letteratura potenziale”.
Quali sono i tuoi riferimenti in questa scelta? La scatola e il suo disordine sono un piccolo vaso di pandora narrativo?
L’idea della storia destrutturata era una vera avventura. Nel senso che neanche io sapevo cosa sarebbe diventata una volta disegnata. Tutto è nato dal fatto che sono convinto che ci creiamo sempre un racconto partendo da quello che troviamo in giro: un discorso ascoltato di nascosto, un amico che ci rivela un segreto. Mettiamo insieme nella nostra mente e cerchiamo di completare i punti che non conosciamo . Non a caso il titolo del libro va a capo con completa – mente.
Il fumetto di per sé ti chiede di completare sempre a mente quello che succede tra un’immagine e l’altra. È il concetto di “closure” che spiega Scott McCloud in “Understanding Comics”. È la cosa che mi affascina di più quando leggo un fumetto: i disegni che non ci sono, i disegni che riesco a immaginarmi da un’inquadratura all’altra.
Alla fine poi il senso di quello che avevo realizzato me l’ha spiegato una lettrice scrivendomi una email. Il libro è una scatola dei ricordi, e come i ricordi non decidiamo noi come ci arrivano.
Se ripensiamo ad una storia d’amore, non succede mai come al cinema con un flashback. Ci ricordiamo un bacio, e poi il primo incontro, e poi uno schiaffo. Senza nessun ordine. C’è un libro ristampato poco tempo fa da Bur si chiama “In balia di una sorte avversa” di B.S. Johnson, l’ho scoperto grazie ad un’altra lettrice. Anche lì il meccanismo è lo stesso, ma senza disegni e scatola dei ricordi. Alle volte un oggetto potrebbe essere una madeleine, uno scontrino raccolto è tenuto da parte. Ce lo troviamo nelle tasche e non riusciamo a ricordare perché l’abbiamo conservato, poi ti viene in mente un ricordo collegato a quando hai deciso di collezionarlo.
I fascicoli che compongono CSC sono tutti contraddistinti da una piccola illustrazione che a me ha ricordato molto gli ex libris o le marche editoriali (che stanno tornando di moda, per esempio Mondadori ha risuscitato il suo “In su la cima” accompagnato dalla rosa). Perché hai deciso di “tatuare” ogni frammento?
Sono un appassionato di marche editoriali, anche io avevo notato il “In su la cima” e sebbene non ci avessi pensato quando ho realizzato i fascicoletti volevo che fossero icone da tatuare. Faceva parte della idea iniziale del libro. Un percorso di icone su una mappa per ripercorrere una storia o una loro collocazione temporale.
Quando avevo iniziato a scrivere CSC volevo fosse possibile tornare ad una sorta di indice, di ordine, attraverso le immagini. Poi ho dovuto abbandonare il progetto. Dentro il libro ci sono più idee che sono entrate e poi sono uscite di nuovo perché la storia stava prendendo un’altra piega. La mappa è stato l’inizio di tutto.
La composizione di CSC fa sì che sia necessario avere molto spazio fisico per poterlo leggere, specialmente tutto in una volta, come consigliato. Io ho banalmente usato il mio letto, ma nelle foto di altri lettori ho visto tavoli da pranzo, pavimenti, balconi…
Leggerlo, insomma, è una vera e propria esperienza fisica che coinvolge molto l’ambiente in cui ci si trova.
Sì, è una delle ragioni per cui adesso non so se ristamparlo, anche se era un “adesso o mai più”. Mettere online un pdf non ha molto senso. Aprire una mappa, guardarsi una fotografia davanti e dietro, togliere foto da una busta. Sono tutte azioni che si possono difficilmente fare sul monitor di un computer. Il libro ha a che vedere con il piacere della lettura di un oggetto. Non è feticcio il libro. È il modo con con cui si può scoprire la storia.
In alcune recenti interviste ho letto altri fumettisti che invidiavano situazioni di libertà e consapevolezza editoriale/culturale di altre zone del mondo, come la scena di New York (la gente là sì che capisce che è libera e intelligente e blabla). Anche tu vorresti essere altrove?
Io vorrei essere altrove ma non per sempre. Sto bene solo quando sono sicuro di non dover stare in un posto per sempre.
In Italia l’attuale capitale dell’illustrazione è senza dubbio Bologna. Se sei d’accordo con questa affermazione, sapresti dirmi cosa pensi che funzioni in questa città?
C’è un’Accademia e un festival dedicato al fumetto molto bello e importante. Per non parlare della fiera internazionale dedicata al mondo dell’illustrazione per ragazzi importante quasi come quella di Francoforte. Però i miei ricordi di Bologna sono legati all’esperienza traumatica con una ex-fidanzata. Studiava a Bologna. Appartamento di studentesse. Dormivo con lei soltanto un giorno alla settimana, la domenica sera, poi tornavo a lavorare a Milano. Mangiavamo in piatti di plastica con posate di plastica perché dovendo prepararsi per gli esami non avevano tempo di lavare i piatti. Mai visto così tante poche persone fare così tanta mondezza. E il freddo che ho sentito a Bologna non l’ho mai sentito da nessuna parte. Sempre dormito male a Bologna. Spesso all’addiaccio dopo un concerto in qualche posto occupato o in casa di amici. Il rimpianto per aver scoperto Nannucci troppo tardi per poterla scoprire tutta o il poco tempo tra un treno e l’altro per raggiungere Alessandro Distribuzione.
Ora che tutti hanno ricevuto la propria copia, ti senti pronto per tirare le somme?
Ancora no. Ancora non è arrivato a tutti. Questo perché ho scoperto che non bisogna mai spedire un pacco sotto Natale e soprattutto perché — per le Poste — Natale inizia il 15 di novembre. Sto ancora scrivendomi con persone per la ri-spedizione.