Barber's Dump Typeface © Riccardo Sabatini (un typeface realizzato tagliando i dreadlock)

Alla scoperta della tipografia con Riccardo Sabatini

Seguo Riccardo Sabatini da qualche anno. Esattamente dal 2012, quando mi imbattei (come molti altri, viste le oltre 150K view solo su Behance) nel suo celeberrimo curriculum vitae (cercando graphic resume su Google Immagini, appare ancora tra le prime posizioni).

Mi sono affezionato ai suoi lavori fin da subito, sia perché il suo stile — pur spaziando in ambiti anche diversissimi — è molto riconoscibile e personale, generando quindi un senso di continuità che invoglia a guardare una dopo l’altra le diverse creazioni, sia perché non manca mai di esporsi con una bella dose di autoironia e comicità che sta a metà tra il british ed il toscanaccio verace.

Il making of del Barber’s Dump Typeface (visibile in copertina e realizzato tagliando i dreadlock)

Mi sembrava bello quindi contattarlo per fare insieme quest’articolo. Vista però la poliedricità di Riccardo, ho deciso di focalizzarmi in particolare sulla sua attività di tipografo, inteso in senso stretto come la creazione di nuovi font. Attività in cui per altro il buon Sabatini eccelle e per cui si è meritato anche una serie di riconoscimenti e menzioni.

Un mockup di Barber’s Dump Typeface

Pubblicazioni

Playmobil Art Exhibition – The Catalog
Playmobil – Kyeong Guy Hong, Yoojin Kang

The Art of Victorian Futurism
Art Center IDA – Owen Lee, Kyeong Guy Hong

ON SPOT – International Event Design
Sendpoints

Cause and Effect – Visualizing Sustainability
Gestalten

Typoholic
Viction:ary
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Mostre

CTL Esposizione Collettiva III
Verona – ottobre/novembre 2015

Playmobil Art Exhibition
Seul, South Korea – luglio/ottobre 2015

Beijing Design Week
Bejing, China – ottobre 2014/febbraio 2015

Steampunk Art
Seul, South Korea – marzo/maggio 2014

Poster Punch
San José, Costa Rica – marzo/magio 2013
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Mekkanika Typeface di Riccardo Sabatini, pubblicato sul libro “Typoholic”, edito da Viction:ary, Hong Kong, 2012

Ehi Riccardo, sto scorrendo tra tutti i tuoi font, ma è veramente difficile sceglierne uno da cui iniziare. Comincio allora da quello a cui personalmente sono più affezionato, ossia Mekkanika (forse perché ancora non ho superato il trauma di quando mia madre non volle comprarmi i leoni di Voltron?)
Comunque, mi pare di ricordare che questo fosse stato primo font che ricevette un gran numero di consensi, e si tratta pure di un font tecnicamente “di scarto” in quanto fu rifiutato poi dal committente che te l’aveva richiesto, corretto? Come sei arrivato a progettarlo, come hai scelto quale dovesse essere la struttura tipografica sottostante ed i pezzi meccanici che dovevano comporlo?

Ciao, partiamo dall’inizio. Il font non nacque come alfabeto completo, ma come singolo type treatment di accompagnamento grafico all’articolo di una rivista. Il brief era di creare qualcosa di “meccanico”, e che fosse un sans. A quel punto presi come base uno dei miei font preferiti, il Din Pro, e applicai lo
stesso trattamento che utilizzai nel suo predecessore, [Brushwood, vedi domanda successiva, NdA]: sovrapporre elementi figurativi ricalcando la forma delle lettere.
Feci un’accurata ricerca e iniziai ad accumulare vecchi disegni vintage di componenti meccanici e disegni tecnici di vario genere. Il resto fu tutto
lavoro di composizione. Alla fine dei giochi l’art non me lo approvò ma al suo posto scelse il font-treatment precedente, a sua volta non approvato da chi lo commissionò. È un lazy brown dog che si morde la coda.

Mekkanika Typeface
© Riccardo Sabatini

Con quali media hai lavorato prevalentemente? Photoshop, Illustrator, o hai avuto anche una bozza iniziale su carta? Wacom o mouse e tastiera? Griglia o foglio bianco? Racconta.

Il font è stato fatto quasi esclusivamente in Photoshop, essendo comunque una serie di illustrazioni raster con la forma di un font.
Lo scanner, per copiare digitalmente dal catalogo dell’Ikea a manuali d’ingegneria di mio nonno.
Mouse e tastiera, essendo io uno dei pochi esemplari rimasti del creativo sapiens a preferirli in assoluto a tavolette di qualsiasi genere (a casa ho una Wacom Intuous a prendere polvere da anni che può testimoniarlo).
Chiudendo, no foglio e no griglia, essendo più un lavoro di collage che una costruzione vettoriale fatta come si deve. Ovvio che per altre cose sono dovuto stare molto preciso, tipo la scalatura dei pixels dei vari elementi. Ognuno di essi è un elemento avanzato con pattern dithering a due colori, per avere il massimo del contrasto e tenere alla larga le famigerate sfocature che si ottengono quando si hanno tanti dettagli in poco spazio.

Il font ha avuto poi un buon riscontro, sei anche finito con la tua facciona robotica in mezzo alla galleria di Adobe. Ti reputi soddisfatto del risultato?

Sì e no. Ha avuto un successo molto pop, che è una cosa fantastica, ma ha oscurato anche altre cose che ho fatto dopo. Stessa cosa che è successa col curriculum da 150k views.
Il dramma è andare a googlarsi per verificare la propria reperibilità online e vedere poco del nuovo ma tanto del vecchio. Cose che magari crescendo non trovi più esteticamente in linea con chi sei adesso. È il revenge porn applicato al design.

Mekkanika in una serie di stampe realizzate per un festival steampunk in Corea del Sud

Un altro carattere che mi piace molto è Brushwood, che, come dire, è il “gemello ambientalista” di Mekkanika.
Il processo di creazione è stato analogo? Sei partito da un font pre-esistente ed hai iniziato a tappezzarlo di ornamenti floreali? Oppure avevi già in mente il risultato finale ed hai cercato il modo di ottenerlo?

Come già avevo scritto prima raccontando del fratello minore meccanico, è con Brushwood che iniziai a cimentarmi con quel processo creativo di composizione. La base fu quella del Clarendon, il resto tappezzeria di freebie vettoriali da siti di stock, tutti elementi che presi singolarmente erano cheap ma riarrangiati in maniera barocca assumevano un senso.

Il processo di realizzazione di Brushwood

Questo progetto è rimasto dormiente per un bel po’ di tempo, prima che poi grazie anche ai feedback positivi che stavi avendo su Deviantart e Facebook, ti decidessi a portarlo a termine.
In che modo attribuisci la priorità ai diversi progetti che stai portando avanti? È importante per te avvertire un riscontro positivo da parte dei tuoi follower? In caso un progetto per te significativo ricevesse pochi like, potrebbe venire accantonato?

La priorità dovrebbe essere il vile denaro. Però non sempre funziona così.
Il mio portfolio svela poco del mio lato commerciale. E ho sempre provato, sicuramente controcorrente, a ritagliarmi un profilo personale quasi più sul versante artistico che su quello progettuale, rendendo il mio portfolio anche fin troppo radical a certi tipi di committenze.
Il riscontro per me è fondamentale, vivo di feedback, ma ho imparato a gestirne l’ansia e capirne i meccanismi. Se qualcosa non funziona si può provare a
migliorarne il packaging generale (motivo per il quale restauro spesso i progetti) o levarla di torno. O imparare a farla su muro.
Pure il Comic Sans una volta su muro è street art. A quel punto è fatta.

Brushwood Typeface
© Riccardo Sabatini

Brushwood è anche stato presentato in diverse gallery di Behance, questa visibilità extra ti ha poi portato a vantaggi concreti?
Hai scelto altre piattaforme per condividere i tuoi lavori? E comunque quanto pensi sia necessario per la tua attività essere presente su piattaforme di condivisione e social network?

Vantaggi sì, ero anche fresco di laurea e pronto per levarmi dall’Italia e andare a farmi comandare in qualche internship ma capitarono tutti in un biennio di lutto familiare che non mi permise di cavalcare l’onda come avrei voluto.
Inoltre rispetto a cinque anni fa il web è cresciuto esponenzialmente come anche le dinamiche interne alle piattaforme di settore. Non si tratta più di avere il portfolio online ma anche di sincronizzarlo con i social, adattare i formati dei contenuti e capirne i diversi approcci.
Io amo creare storytelling in cui mi dilungo anche troppo su Behance, studiati per gustarseli su grossi schermi orizzontali, ma il formato vincente è quello verticale su device di Instagram, dove in formato ridotto devi far colpo in un secondo, come su Tinder.

Hexahedra Typeface
© Riccardo Sabatini

I tuoi font sono decisamente non convenzionali. Hai mai pensato, o stai pensando, a progettare un carattere più tradizionale, magari per un uso di massa? E perché?

Perché sono difficili. E magari perché ci sono poco versato.
In realtà un paio non esclusivamente display (ovvero quelli che si usano per titoli o grafiche più che per scrivere corpi testo) all’attivo ne ho, ma sono versioni assai ridotte rispetto all’enorme quantità di glifi e corpi che ha un font tradizionale come il già citato Din.
In cantiere al momento non ne ho, ma vorrei comunque approfondire la strada intrapresa con l’ultimo ed avvicinarmi sempre di più al mondo sans e serif classico ma non troppo.
Così, ad esempio.

Embossy Typeface
© Riccardo Sabatini

Capita sovente che caratteri tipografici gratuiti diventino poi virali e si vedano usati un po’ da tutte le parti, penso per esempio a Lavanderia e Mission Script (per altro entrambi della stessa foundry, Lost Type).
Certamente l’uso commerciale richiederebbe l’acquisto della licenza e spero sia così, ma a tuo avviso la diffusione di font gratuiti o quasi sul mercato e la pirateria delle licenze danneggiano il mercato dei creatori di font? O pensi porterà ad un cambio del paradigma, un po’ come il p2p ha fatto con il mercato della musica?

Ho smesso da anni di sciacallarli online, per conflitto d’interessi. I miei costano 10 euro l’uno, ma solo perché sono un moscerino. Inoltre dipende dal cliente.
L’agenzia in cui lavoro fa campagne grosse e gestisce clienti su scala nazionale, gli sgarri di quel tipo non sono consentiti, tutto dev’essere alla luce del sole. Più si scende tra i comuni mortali più si fa bandaccia. Funziona così, tutti hanno un Bebas nell’armadio.

Embossy Typeface
© Riccardo Sabatini

Ad ogni modo, tu ci fai i soldi con la tipografia? Ossia lo vedi proprio come un mercato dove valga la pena investire in termini di creatività e che potrebbe diventare una tua attività predominante? Oppure continuerai a perseguire un approccio più trasversale, anche multidisciplinare?

Massimo fatto in un mese sta sotto i 1000 e sopra i 100 euro.
È più redditizio ricevere la commissione di un’illustrazione tipografica, essendo pagata singolarmente di più della singola copia di un font. Per parlare di serio rendimento economico bisogna essere in una foundry, che sia come rappresentanza o come dipendente o averne una, e focalizzarsi esclusivamente su quello.
Io amo anche affrontare altre situazioni dal punto di vista progettuale.

Spike Typeface
© Riccardo Sabatini

Molti dei tuoi caratteri nascono per un committente, che poi magari rifiuta l’opera.
Gestisci questo rischio in qualche modo? Pensi sia connaturato in particolare a realtà particolari (es. clienti italiani, medio piccoli piuttosto che a determinati settori?)

Non mi sono più capitate occasioni di fare un font ad hoc per commissione tranne un paio di casi extra, li carico sul sito e aggiungo un bottone PayPal.
Tempo addietro ero quasi riuscito ad entrare in una foundry ma è finita che ho preferito fare il cane sciolto.
La complessità di certe lettere che faccio
non me le rende adattabili all’ampia gamma di glifi richiesta da determinati standard commerciali che le foundry devono tenere. È anche per questo che mi voglio avvicinare sempre di più a creare typefaces più indirizzate alla lettura che alla decorazione fine a se stessa.

Spike Typeface
© Riccardo Sabatini

Virando invece sui capisaldi della tipografia, hai qualche mentore?
Quali sono i font che non mancherebbero mai nel tuo portafoglio?
Dal punto di vista anche della didattica, è una materia di cui hai letto e studiato in modo assiduo o comunque focalizzato?

Role model in ambito tipografico e font immancabili non sempre stanno sullo stesso parallelo, almeno per me.
Uno dei primi ad aver conosciuto ed approfondito in seguito è stato Jonathan Barnbrook, che ha un approccio tipografico unico ma molto di nicchia. Poi i mostri sacri, da Paul Renner, a cui rendere sempre grazie per il Futura, Adrian Frutiger per l’Univers e l’Avenir, Herb Lubalin per l’Advantgarde, Miedinger per l’Helvetica, e posso andare avanti facendo la lista della spesa dei nomi più importanti della storia della tipografia, ma non è questo il punto.
Se realmente ti piace la tipografia, fare classifiche o liste è sbagliato, con tutto quello che c’è da scoprire. Ad esempio, anni fa non mi sarei definito un amante degli script, ma approfondendo l’argomento ho imparato ad amare il lavoro di mostri totali come Ale Paul di Sudtipos, e ad appassionarmi anche all’arte calligrafica, da Luca Barcellona al video del tizio che scrive i cartelloni pubblicitari a mano in Brasile, alla calligrafia orientale rivista in chiave moderna, ed idem per tutto il resto. Basta farsi in giro e d’ispirazione ce n’è pure troppa.
Non mi definirei mai un buon studente, vista l’ultima parte della domanda, i manuali mi stanno antipatici, ma sono sempre stato curioso.

36 days of type
© Riccardo Sabatini

Mi viene ancora da ridere se penso alla tua foto mascherato da Raiden (il noto, spero, personaggio di Mortal Kombat).
Che rapporto hai con videogiochi, film e cultura nerd in genere? Ti capita di trovare fonti di ispirazione per i tuoi lavori? Ti viene in mente anche qualche font particolare in cui ti sei imbattuto recentemente?

Sono un fiero nerd coi muscoli, ma ho smesso. Dopo essermi allontanato dal tunnel delle 8 ore giornaliere davanti alla Play da adolescente ho deciso che per il mio bene non ci sarei mai più caduto.
Seguo i vari sviluppi del mercato e faccio scorpacciate di cinematics e concept art sui vari siti di riferimento, ma è un rigoroso guardare non toccare. Ecco, mi ci piacerebbe lavorare, da matti.
Con i film il discorso invece più sentito, ne guardo un sacco, e ne apprezzo le finezze anche in campo grafico, dall’uso dell’elegantissimo ITC Benguiat nel logo della serie tv Stranger Things, all’uso meticoloso della tipografia nei film di David Fincher, al logo di Doom che dopo quasi trent’anni ancora spacca il culo (perdonate il giovanilismo).

36 days of type
© Riccardo Sabatini

Un altro dei tuoi progetti che mi è molto piaciuto, che nuovamente ruota tutto attorno ad un carattere tipografico, è quanto tu abbia fatto per Kushi Clthng, sopratutto perché hai documentato anche il lavoro sporco, ossia i diversi tentativi di stampa, la scelta dei tessuti assieme al committente, l’analisi sul prodotto finito, pronto da indossare.
Che differenza ha fatto per te seguire tutta la filiera produttiva, invece che fermarsi meramente alla consegna di un file .psd?

Innanzitutto mi ha aperto gli occhi, e poi mi ha fatto perdere un quantità tempo imbarazzante. È stata una lezione su come vanno fatte le cose, e su come vanno non fatte.
Il progetto non aveva un committente, come te hai scritto nella domanda, bensì era un progetto nato tra due partner, ed uno ero io. È stato di sicuro interessante affrontare le varie fasi produttive, ma è stato anche un passare dall’altra parte della barricata, dove una volta ricevuto il file .psd e .ai, al tempo che si è impiegato a realizzarlo va aggiunta pure una spesa economica più cospicua.
A questo in seguito vanno aggiunti anche altri due layer, quello della promozione e della vendita. È un mondo molto più strategico di quello che pensavo, che mi ha lasciato scottato, sebbene ancora curioso di riprovarci.
Anche se più in là, per ora, meglio commissioni. Magliette con gli unicorni comprese.

Kushi Clthng
© Riccardo Sabatini

Vedo che ora ti stai dedicando pesantemente a questa storia dei pattern, con anche un discreto uso di gif ed animazioni. Stai pensando ad un connubio anche con il tuo lavoro sui font, o pensi saranno strade che non si incroceranno?

Non direi pesantemente, il progetto si chiama A pattern (almost) a day proprio perché non riesco a mantenerne una produzione giornaliera a ritmo industriale.
Questo è un mondo distinto che si allontana da quello dei font, non sono al momento intenzionato a provare possibili contaminazioni, ma mai dire mai.

A pattern (almost) a day II
© Riccardo Sabatini

Attualmente stai lavorando a qualche progetto particolare?

Oltre al sopra menzionato progetto barra esercizio per tenermi in forma sui pattern devo finire una serie di illustrazioni in collaborazione con Dean Christie per il progetto Tiger Switch Project, un packaging per un prodotto nocivo alla salute, altre cose ancora in progress-barra-fase contrattazione, e poi a breve torna il 36 days of type.

Ci sono altri creativi che tieni d’occhio o che segui con particolare interesse, rimanendo sempre in quest’ambito di creazione di caratteri più o meno sperimentali?

Il sito Typographic Posters, autentica miniera d’ispirazione; Kyle Wilkinson, approccio sperimentale ma clientela con la C maiuscola, quello che vorrei fare anch’io. Stesso menu, meno fotografico ma più digitale pure con i Sawdust, la typefoundry Youworkforthem, fondata da Michael Paul Young, un pioniere della computer art. E poi tanti altri, la cui lista è lunga, che seguo su tutti i vari social-cosi.

Ehi direi che possiamo aver finito che ne dici? Grazie mille Riccardo!

Direi proprio di sì. Grazie mille a voi!

* * *

Potete seguire i suoi lavori su Facebook, Instagram e Behance, ne vale la pena!

Contributor
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