L’altro giorno mi sono accorto che le più importanti e diffuse riviste di moda, i nomi delle quali ci risuonano in testa come brand senza specifico significato, sono in realtà parole di senso compiuto in lingue diverse dalla nostra.
E, a parte ricordarmi ciò che sapevo già: cioè che Vogue significa moda sia in francese che in inglese, quello che mi diverte di più è la Fiera delle Vanità. Vanity Fair appunto.
Vanity Fair mi ha fatto ragionare per diversi motivi:
- ha un incredibile numero di referenze nella propria pagina di disambiguazione su wikipedia, cosa che lo rende un bisticcio di incredibile potenza;
- è una delle prime riviste di costume che siano state messe in commercio – anche se non nella versione di Condé Nast, che è relativamente giovane (ha i miei anni) – e che pare aver avuto maggior numero di vite diverse;
- mi pare ancora amatissima dal pubblico femminile, pur dichiarando già nel titolo di scavalcarne l’intelligenza per solleticarne i più leggeri dei desideri.
Ci ho pensato: alla faccia di ogni parità di genere, sul mondo degli uomini sembra splendere il Sole 24 ore su 24, mentre a quello delle donne è illuminato solo dai riflettori che perennemente glitterano bisogni sempre nuovi.
Da qui nasce fiera, un bisticcio che è andato ad una giovane amica, che come tutte voi non vorrei mai vedere al mercato dei vizi (o delle virtù), bensì donna attenta, capace e al limite un pochino indomabile.
Siate tutte fiere, amiche mie!
(E Buon Natale)