È facile fare retorica sui migranti.
Sono milioni, in tutto il mondo, quelli che sono scappati dalla propria terra in cerca di fortuna, per scappare a conflitti e intolleranze politiche e religiose, per spirito nomade, magari per amore. Milioni di persone, spesso sfruttate, che svolgono spesso i lavori più umili, che sistemano le strade, raccolgono frutta, costruiscono case, puliscono cessi, friggono patatine, distribuiscono volantini…
Migrante. Immigrato. Profugo. Confine. Visto. Muro.
Una manciata di parole e hai riassunto gran parte delle notizie che ascoltiamo e leggiamo ogni giorno.
È facile fare retorica sui migranti, appunto.
E le strumentalizzazioni arrivano da destra e da sinistra, da sopra e da sotto. Cambiano i punti di vista ma quel che sta al centro, la persona, raramente viene presa in considerazione come tale bensì come qualcos’altro: un pericolo, un problema, una risorsa, un interrogativo.
Ispirata da una frase attribuita al grande compositore francese Claude Debussy — la musica è il silenzio tra una nota e l’altra (ma se non sbaglio anche Miles Davis disse qualcosa del genere) — la designer singaporiana Audrey Yeo, losangelina di adozione, ha cominciato a riflettere proprio sulla condizione dei migranti e deciso di raccontare una storia attraverso l’animazione e la metafora del silenzio: «Il progetto aspira a riconoscere il silenzioso contributo dei lavoratori migranti alle nostre comunità e celebrare la loro “musica tra le note”».
Realizzato come progetto universitario, il filmato, che si intitola My Brother, è davvero affascinante, soprattutto per il sapiente uso del cambio di prospettiva: una metafora potentissima anche questa, soprattutto in una giornata come questa.









