Era tutta un’altra vita quando c’era Pino Verlato… Ovvero: il tessile e i silenziosi eroi combattenti nelle seconde linee

Pino Verlato non parlava con le donne. Non parlava con mia moglie, con mia figlia, ma con il ragazzino sì, anche se piccolo.
Era uno che nella vita aveva perso tutto: denti, salute, soldi, lavoro, morosa, gambe, ma non l’ironia.
Era il manutentore di una fabbrica dei dintorni, poi la fabbrica chiuse, e lui passava le sue mattinate sotto la pergola dell’Osteria al Giardino, leggeva il giornale locale ma era più attratto dalle pagine dei morti che da quelle delle offerte di lavoro. Lo vedevo tutti i giorni andando a prendere il pane, il giornale e le sigarette.

Una mattina ci siamo accordati e decisi di proporgli un contratto a progetto. Da quel giorno diventò il mio manutentore saltuario. Era un uomo capace di colpi di genio, di discese ardite e di risalite! Abbiamo modificato e lavorato su molte macchine da cucire.
Poi, oltre che per i giorni destinati alle manutenzioni, veniva nell’officina della mia fabbrica per realizzare i suoi sogni.

Creò la Renault 4 diesel (che non esisteva). Fu un precursore dei trapianti di motore, alla fine quasi tutto andava bene, il trapianto col motore diesel era quasi riuscito tranne che per un un piccolo particolare: durante la prova su strada si accorse che il prototipo aveva 4 marce indietro ed una sola avanti.
L’operazione era nata per fregare il fisco che, a quei tempi, aveva istituito un super bollo per le auto a gasolio. Nei suoi progetti quello doveva essere il primo di una produzione in serie ma purtroppo non ebbe un gran successo.
Il ragionamento (o la mission come si direbbe in qualche farm) era fondato sulla superficialità dei carabinieri: come potevano chiederti il super bollo se non era mai esistita una Renault 4 diesel?

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Pino fumava in officina e inoltre faceva fumo con i suoi utensili, per questo non si sopportava con Valentino il falegname, che faceva polvere, non fumava ed era un salutista.
Pino era un po’ razzista, aveva lavorato in Libia, e diceva che la cassetta attrezzi di un meccanico libico conteneva solo due martelli: uno da 200 e uno da 500 grammi, utilizzati in base al problema che si presentava.

Dopo un periodo di crisi esistenziale, Pino mi ha chiesto un prestito ed è emigrato a Cuba, si è preso una casa in affitto accanto a quella di Hemingway e si è messo a fare il bullo sul Malecon. Affittava camere agli italiani, li portava avanti indietro con il maggiolone dalla città all’aeroporto, e li aiutava a trovare le chicas.

Poi però si innamorò, tornò in Italia, e riprese a lavorare un po’ per me, un po’ per Pino il contadino, studiando messe a punto e modifiche improbabili per il trattore sovietico Belarus e, in un progetto impegnativo, per Lucio il viticultore, che voleva farsi una macchina imbottigliatrice automatica.
Passando dalla strada si sentivano spesso il rumore di vetri frantumati e bestemmie variamente articolate. 

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Decise alla fine di tornare a Cuba e di sposarsi, mi chiese consiglio per il vestito, io gli dissi «vai sullo stile del tuo vicino e non sbagli mai». Lo accompagnai a prendersi un abito di lino bianco stile Hemingway con cappello. Mi spedì le foto del matrimonio ed era bellissimo.

Ma il fumo compulsivo e l’alcool incrostato su tutto il reticolo di vene e arterie cominciarono a creare problemi. Fu operato a Cuba e gli tagliarono le gambe, riprese a fumare ad una settimana dall’intervento. Il chirurgo lo guardava e scuoteva la testa. Lui rispondeva beffardo in spagnolo: «y ahora lo que me cortó».

L’ultima volta che lo vidi venne al paese con la governante, la señora Hortensia, un’infermiera cubana tracagnotta che continuava a ridere. Lui, o meglio quello che era rimasto, aveva i capelli tinti di biondo: «è il colore del successo», mi fece notare ridendo forte!

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Io e lui insieme abbiamo costruito tre macchine prototipo per i miei bambini, di cui una con motore a scoppio.
Volevamo fare la Fiat dei piccoli, poi il matrimonio mandò a monte il progetto industriale.
Dopo il matrimonio acquisì modi molto più urbani, parlava persino con mia mamma, con mia moglie e con mia figlia.
Sopravvisse qualche anno, con due pensioni. Al telefono mi raccontava che era diventato una specie di azienda, stipendiava la governante, l’autista e il cuoco.

Ora è sepolto a Cuba. Vivrà nel paradiso cubano a sistemare la Chevrolet di Cumpay Segundo, sorseggiando Rum e fumando sigari.
Mi è venuto in mente un viaggio negli anni ’80 a San Pietroburgo, a quei tempi Leningrado. Davanti alle fabbriche c’erano le bacheche con le foto dei dostoynyye rabochiye, i lavoratori meritevoli. Ci vedrei bene Pino col suo colbacco, la cicca e il suo ghigno davanti alla mia fabbrica!

personaggio misterioso e autore dell'omonima rubrica
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