Qualche lacrimuccia, confesso, l’ho versata guardando un cortometraggio d’animazione come Papa, realizzato dall’illustratrice Natalie Labarre e già proiettato in svariati festival in tutto il mondo.
Perché una storia come questa—che parla di un papà inventore che si accorge di non essere un padre perfetto e allora decide di inventarne uno—va a toccare un nervo scoperto in chi, come me, prova a destreggiarsi nel suo ruolo di genitore cercando di passare un po’ di quel famigerato tempo di qualità con sua figlia, ma sbagliando alla grande nella convinzione che quelle che sono le proprie passioni, il proprio sapere e il saper fare che mettiamo nel nostro lavoro, interessino anche lei.
Me ne accorgo quando, costruendo palazzi coi pezzetti di legno, mi ritrovo a volerla coinvolgere in virtuosismi di forma e funzione ed equilibrio che a lei fregano davvero poco visto che vorrebbe semplicemente starsene un po’ col suo papà a fare castelli assurdi che magari crolleranno di lì a un istante (ma che importa?).
Me ne accorgo quando vado a cercare su Wikipedia la magnitudine di Betelgeuse e la distanza in anni luce dalla Terra quando invece lei vorrebbe solo starsene un po’ accoccolata tra le mie braccia a inventare costellazioni.
Alla ricerca della perfezione, dell’attività che sia per forza stimolante, proattiva, dinamica (e altri termini che sembrano uscire dal profilo Linkedin di uno che vende fuffa) mi perdo l’assai più illuminante punto di vista di chi è ancora in parte libero dalla dittatura dell’efficienza e della performance. E lei, di contro, è costretta a sorbirsi un padre che prova a trascinarla nel proprio mondo invece di provare a entrare nel suo.