© Joshua Fulfs

Arterrae: fare arte informale con le mappe via satellite

Alle fine degli anni ’40, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, in Europa e negli Stati Uniti si aprì la cosiddetta stagione dell’Arte Informale. Una stagione che, per quanto riguarda la pittura, che si allontanava sia dal figurativo sia dalle geometrie dell’astrattismo, si chiuse intorno alla fine degli anni ’60 ma che in fotografia prese il via proprio in quel periodo, come racconta Umberto Eco in un suo saggio uscito nel ’61 sul Verri:

La camera fotografica che sino a ora aveva trovato scene ed eventi “figurativi” ora viene invitata a trovare occasioni informali, macchie, graffiti, tessiture materiche, colate, graffi, scrostature, secrezioni, gomme, striature, lebbre, escrescenze, microcosmi di ogni specie approntati dal caso sui muri, sui marciapiedi, nella fanghiglia, sulla ghiaia, sui legni di vecchie porte, sulle massicciate o nelle colate di catrame non ancora steso, variamente calpestato e rappreso.Umberto Eco, dal saggio “Di foto fatte sui muri”, il Verri n.4, 1961

La fotografia di cui parla Eco è una fotografia che (cito lo stesso saggio) “lavora sul materiale originario offertole dalla natura” e che “ha molto in comune con l’operazione del passante che scopre il sasso”. In pratica: il citatissimo objet trouvé, che non è arte in quanto tale ma che lo diventa per via dell’atto di selezione dell’artista.

Le scrostature, le macchie, le escrescenze citate da Eco vengono trovate e immortalate nel micro: sui muri, appunto, nei pochi centimetri quadrati di un marciapiedi. All’epoca non c’era ancora Google Maps, e il grande semiologo non poteva certo immaginare che la stessa, identica operazione, molti anni più tardi, si sarebbe potuta replicare anche nel macro, nell’infinitamente grande delle foto via satellite a disposizione di chiunque abbia uno smartphone in tasca.

E sono proprio le foto di Google Maps lo strumento—l’apparecchio fotografico—di Joshua Fulfs, che di mestiere fa il brand manager (uno di quei lavori complicati da spiegare a tua madre) ma che per passione scandaglia la superficie terrestre comodamente seduto alla scrivania, trovando e selezionando tutti quei frammenti, quelle texture, quei graffi che ricordano appunto l’arte informale, pubblicando poi le sue opere su un sito, Arterrae, che dallo scorso novembre Fulfs aggiorna quasi quotidianamente.
E, pur non essendo di certo il primo artista che usa Google Maps, il risultato è piuttosto interessante.

© Joshua Fulfs
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