Si dice spesso: “la lingua è viva”. Muta, cambia, si trasforma con l’uso (ciò purtroppo significa che il “piuttosto che” usato in maniera sbagliata dai milanesi diventerà prima o poi la regola e non un errore da matita rossa). Lo stesso vale per l’alfabeto e la scrittura: la nostra A deriva dall’α greca, che a sua volta è una mutazione dell’aleph ebraico, che viene (insieme all’alif arabo) da quello fenicio e giù giù fino al geroglifico a testa di bue degli antichi egizi—e non è detto che sia questa l’origine ultima.
Pensa poi al nostro corsivo, già sul proverbiale viale del tramonto…
Ispirato da questa evoluzione, che nonostante sia culturale assomiglia in tutto e per tutto a quella biologica, il designer israeliano Ori Elisar ha creato un alfabeto che “vivente” lo è letteralmente dato che ha usato un batterio, il Paenibacillus vortex, per “disegnare” le lettere dell’ebraico antico riuscendo poi a farle trasformare in quelle dell’ebraico moderno semplicemente dando da mangiare ai batteri e disponendo il cibo (un proteina) seguendo i contorni delle lettere moderne.
Il risultato è straordinario, per lo meno dal punto di vista visivo (perché è evidente che si tratti di una forzatura, di un’illusione: non sono certo i batteri a scegliere la nuova posizione né tantomeno l’alfabeto a mutare spontaneamente) e, trattandosi della lingua ebraica, innesca pure un bel cortocircuito mentale e mistico, visto che nell’alfabeto ebraico c’è una lettera, lo iod, che tradizionalmente viene considerata come l’elemento dal quale si sono formate le altre lettere—tra l’altro iod è anche la prima lettera del sacro Tetragramma biblico che rappresenta il nome di Dio, e tra i significati del suo geroglifico c’è “occhio” e “germe”…















