C’è davvero bisogno di Photoshop e delle sue bacchette magiche, dei filtri, delle spugnette virtuali sfumano, snelliscono, tirano di qua, smagriscono di là, rassodano laggiù, inturgidiscano lassù? C’è davvero bisogno del plugin “dal pensiero superficiale” che rende la pelle splendida o che ti fa gli occhioni grandi e luminosi (e inquietanti) — i cosiddetti “Hollywood eyes”?
Nonostante riviste patinate e pubblicità sembrino dimostrare di sì, c’è un piccolo magazine inglese che da poco più di un anno va in direzione diametralmente opposta e sostiene il contrario: quando hai ottimi stylist, bravi modelli, location perfette, luci azzeccate, (soprattutto) ottimi fotografi e decidi di sudare sangue al momento delle sessioni di scatto invece di fartelo raffreddare dal condizionatore mentre davanti a una scrivania fai le tue piccole magie col fotoritocco, quando hai tutto questo sì, si può fare, si può confezionare lo stesso una rivista impeccabile, con ottimi servizi fotografici, ancora più affascinanti perché tra milioni di immagini artificiali poi la realtà, cruda, per quanto aggiustata, “domata”, dall’abilità di chi sta dietro all’obiettivo, esce fuori in tutto il suo splendore.
Lanciato a inizio 2014 con un numero zero (di cui ho parlato qua) finanziato grazie a una campagna di crowdfunding, Pylot Magazine è giunto al suo secondo numero: 208 pagine di servizi di moda, reportage, interviste in cui tutto quel che vedi è passato, così com’è(ra) davanti a una macchina fotografica.