Da piccolo avevo una valigia rossa, laccata, con un odore decisamente chimico, quasi di petrolio. Dentro c’era la mia collezione di Barbie, ereditata dalla sorella di mia mamma (dev’esserci stata una congiura, alla mie spalle, per distruggere sul nascere ogni già pallida traccia di virilità: col senno di poi ringrazio sentitamente tutti coloro che l’hanno ordita), insieme a una valanga di accessori e abiti, pure fatti a mano.
E ovviamente mi divertivo a vestirle e spogliarle, creando improbabili look che mescolavano gli anni ’70 e gli anni ’80.
Quando, nel 1984, uscì Gira la moda, io avevo cinque anni. Lo vedevo di continuo, in tv, sulla quarta di copertina e tra le pagine di Topolino… E ovviamente lo volevo.
Ma non se ne fece nulla. Per Natale ricevetti un pur meraviglioso galeone dei Playmobil però Gira la moda rimase da allora tra i miei sogni proibiti.
Ché all’epoca non c’era mica il web. E quindi non potevo certo sapere che sarebbero bastati un po’ di bicchieri di plastica e un pennarello per divertirmi ugualmente a creare abbinamenti, e per di più a costo zero.
Al prossimo compleanno degli amichetti di mia figlia, dopo i due o tre spritz d’ordinanza buttati giù da noi grandi, so come diventare l’eroe della festa, godendomi segretamente — trent’anni dopo — il mio agognato Gira la moda.


