Se nel racconto dell’esperienza multisensoriale offerta da Lexus durante la design week milanese ho “saltato una stanza” è perché in quella stanza c’erano talmente tante cose di cui parlare che avrei finito per finire i pixel del tuo e del mio schermo prima di arrivare alla fine.
Mica facile riassumere in poche righe i progetti dei quattro finalisti del Lexus Design Award 2015, prestigioso concorso internazionale giunto alla sua terza edizione, che quest’anno aveva come tema quello dei sensi.
Per niente facile raccontare anche soltanto Sense-Wear una linea di abbigliamento ed accessori pensata per stimolare ma anche per calmare i sensi, ideata da due designer italiani, Emanuela Corti e Ivan Parati, che hanno deciso di partecipare al contest solo all’ultimo, quando ormai mancavano solo cinque giorni prima del termine delle iscrizioni, ma che alla fine hanno vinto, portandosi a casa il premio e spuntandola su ben 1172 progetti provenienti da 72 Paesi.
Qualche ora prima della premiazione, quando ancora Ivan ed Emanuela non sapevano che avrebbero vinto, ho avuto l’onore di parlare con entrambi, riempiendoli di domande in mezzo al vociare dei giornalisti, al tappeto musicale di sottofondo, alle chiacchiere, agli scampanellii degli abiti della loro collezione continuamente sottoposti al dito indagatore di tutti quelli che passavano di lì.
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Da dove siete partiti per realizzare Sense-Wear?
Ivan: il progetto è ispirato alle terapie sensoriali che si applicano in casi di autismo e di sindrome di Asperger e in genere con le persone che hanno delle disabilità nella percezione dei sensi.
Alcuni di questi abiti servono a calmare i sensi.
Emanuela: nel caso ad esempio di una crisi di panico c’è bisogno di lavorare sui sensi, con attività antistress o gesti che si ripetono, capaci di rassicurare.
Ivan: altri abiti e accessori invece enfatizzano i sensi, come nelle terapie dove essi vengono stimolati in modo mirato.
Come mai avete fatto questo tipo di ricerca?
Emanuela: il tema del concorso offriva un panorama molto vasto e ci sembrava interessante lavorare sull’alterazione dei sensi. Poi sul mercato ci sono già dei prodotti per questo tipo di terapie ma sembrano tutti prodotti di tipo medicale, molto freddi…
Il nostro intento era quello di rendere questo tipo di terapie integrandole nella vita quotidiana in maniera meno aggressiva, meno evidente, meno “medica” e più giocosa.
Poi anche il fatto di essere noi stessi genitori, sapendo come problematiche di questo genere sia in aumento, che ci ha reso più sensibili a tematiche del genere.
Come si sviluppa la collezione?
Emanuela: c’è una giacca che all’interno ha una parte gonfiabile. Esistono già giacche di questo tipo, per chi ha bisogno di sentire una pressione intorno al collo senza però avere alcun tipo di contatto umano.
Ivan: è una specie di abbraccio artificiale. Utilizzando la pompetta incorporata (che funge pure da attrezzo anti-stress) si può gonfiare. E sul collo c’è un elemento che può diventare un portaoggetti e che quindi crea un peso sulle spalle e sulle articolazioni: un’altra cosa che solitamente tende a calmare.
Ma è una giacca che può pure essere utilizzata normalmente visto che la parte gonfiabile crea anche isolamento termico.
[Tocco una specie di sciarpa, ha dei tagli tipo stella a tre punte]
E questa?
Emanuela: questa è pensata per il pubblico femminile. È una sciarpa che in caso di stress può essere infilata come un abito e crea una certa pressione, attraverso tagli laser che danno elasticità al materiale.
Ivan: altri pezzi della collezione invece sembrano dei normali capi nei quali però abbiamo incorporato tutti quegli accorgimenti che ci sono stati riferiti da alcuni terapisti.
Quindi c’è anche una ricerca scientifica dietro.
Emanuela: sì, noi abitiamo a Dubai e ci siamo confrontati col Dubai Autism Center dove i terapisti ci hanno suggerito come sviluppare un po’ il progetto.
Ivan: ovviamente la linea è ancora a livello embrionale perché non è stata testata sulle persone ma il prossimo step è trovare qualcuno che ci dia la possibilità di farlo.
È la prima volta che lavorate nel settore della moda?
Ivan: sì, noi siamo product designer ma ci siamo occupati e ci occupiamo ancora di interni, di design del tessile, abbiamo pure realizzato qualche installazione artistica ma non abbiamo mai creato una linea di moda prima d’ora.
Comunque non abbiamo lavorato tanto sullo stile quanto piuttosto sulla funzionalità dei pezzi.
Però ci siamo pure confrontati con una fashion designer, una ragazza afgana, Koba Mirage, che ci ha aiutati con le questioni tecniche.
[Intanto, come sottofondo, lo scampanellio continua. C’è un poncho dai colori autunnali che sembra fatto di foglie e che attira il ditino curioso di chiunque passi lì accanto]
Emanuela: quello è un poncho pensato più come un gioco, dove ci sono diverse texture da esplorare e campanelli che suonano quando ci si muove. Sul cappuccio poi ci sono delle specie di antenne con dei microfoni, in modo tale da poter sperimentare coi suoni degli ambienti.
Ivan: essendo il progetto ancora a un primo livello le tecnologie sono piuttosto semplici ma ci immaginiamo già che possa venire hackerato e, che so, avere una telecamera e un circuito che traduca le immagini, i colori, in suoni.
O nella giacca gonfiabile si potrebbe mettere un micro-controller e la possibilità di rilevazione del battito cardiaco, della pressione sanguigna…
[Mi mostrano poi una sciarpa, ai due capi della quale ci sono altrettanti sacchetti in cui poter nascondere delle spezie]
Ivan: per l’aromaterapia: diventerebbe una sorta di collezione di odori portatili, o di nascondiglio per oggetti segreti e calmanti.
E la collana?
Ivan: quella è da mordere.
A mia figlia piccola piacerebbe!
Emanuela: anche alla nostra è piaciuta. Quando l’abbiamo portata a casa, ha iniziato a morderla.
Le parti stampate in 3d le abbiamo coperte di silicone per alimenti quindi è sicuro da mettere in bocca mordere.
Qui un’idea potrebbe essere di aromatizzare il silicone, dargli un sapore. Poi per il poco tempo a disposizione per realizzare il progetto non abbiamo fatto in tempo a testare e realizzare ma c’è la prospettiva di farlo.
L’idea è far diventare il progetto un vero e proprio marchio?
Emanuela: speriamo di sì. Finora di tempo per pensare a cosa succederà dopo il concorso ne abbiamo avuto davvero poco. Ci siamo tuffati subito nella progettazione e poi nella realizzazione e mentre li facevamo, contemporaneamente pensavamo a come svilupparli ancora di più.
[Intanto arriva Robin Hunicke, la loro “mentore” (Lexus ne ha dato uno a disposizione per ciascuno dei quattro progetti finalisti). Robin è di San Francisco e si occupa di videogiochi: fa la game developer. È stata lei stessa a sceglierli. Dopo aver visto i loro disegni preliminari ha detto qualcosa del tipo: «Questi sono miei!»] Come mai li hai scelti?
Robin: mi è piaciuto il fatto che il loro progetto avesse a che fare con l’espressione, con l’emozione ma pure con l’interattività e il gioco.
E tutti i pezzi di Sense-Wear hanno questa qualità.
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Mentre i tin tin tin continuano, e non riesco proprio a togliermi dalla testa l’immagine di me che vago per i boschi col poncho con le antenne, vado a scoprire anche gli altri tre progetti finalisti, di cui parlo qui sotto attraverso una rassegna di immagini e di didascalie che ne raccontano la storia e le caratteristiche.
Diomedeidae

La linea si ispira a quella del gabbiano e “Diomedeidae” in latino significa “Albatro”


Tutto è partito da una sfida lanciato loro da alcuni amici ingegneri: «sapreste creare luce utilizzando un piezo?».

Nel primo prototipo artigianale Diomedeidae aveva solo due “ali”, poi nel prototipo definitivo hanno reso tutto più efficiente e aggiunto la modularità, attraverso un pezzo triassiale che consente di creare una struttura a nido d’ape


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Animal Masks


Infilando la testa nei “caschi” si può vedere su uno schermo quello che vedono gli occhi delle maschere


Il progetto di Keita mira a connettere simbolismo e tecnologia



Quando gli chiedo qual è la sua preferita non riesce a scegliere

In compenso cerco di spiegargli che il mio è il barbagianni, ma visto che non so come si dica in inglese lo chiamo “white owl” ma alla fine mi vedo costretto a imitarne il verso per farmi capire… (per la “gioia” di tutti quelli lì attorno)


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Luz*




Il bello però è che la tecnologia è interamente open source, quindi puoi programmare da solo i colori


