Pelle e le saponette che sembrano grosse pietre preziose

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Ne Il diamante grosso come il Ritz, il racconto più fantastico e insolitamente surreale partorito dallo scrittore dei “ruggenti anni 20” per eccellenza, Francis Scott Fitzgerald, il protagonista della storia — John T. Hunger, proveniente da una buona famiglia che abita in una cittadina sul Mississippi — va a visitare la casa di un suo compagno di università, Percy, che vive in un luogo del Montana, sulle Montagne Rocciose, sconosciuto a ogni mappa: un luogo pieno di ogni ricchezze, alle pendici di un monte che in realtà è fatto interamente di diamante, «un unico diamante, quattro chilometri cubici, senza una sola incrinatura».

Il castello di proprietà della famiglia di Percy è un’apoteosi di marmi e ori, pellicce e mosaici, cristalli e pietre preziose.
«E poi una stanza», racconta John, «che pareva la concezione platonica del prisma ideale: soffitto e pavimento e pareti erano rivestiti senza soluzione di continuità da un’unica massa di diamanti, diamanti d’ogni foggia e dimensione, che illuminati altre lampade violette poste negli angoli abbagliavano lo sguardo con una luce che poteva essere paragonata solo a se stessa, al di là di ogni desiderio o sogno umano».
E ancora: «[I pavimenti] divampavano in motivi sfolgoranti, illuminati dal basso: motivi fatti di colori barbaramente contrastanti, di delicatezza pastello, di bianchi purissimi o di intricati e sottili mosaici […]».

Nella mia testa di lettore, stordito dall’eccesso di quelle puntigliose descrizioni, mi sono ritrovato inconsciamente a dover semplificare: sprovvisto dell’immaginazione necessaria per “materializzare” tanto intricato e abbaiante splendore, quelle pietre, quei giochi di luci e di colori, li ho immaginati come se fossero stati disegnati da un software 3D non troppo sofisticato, pieni di facce “intagliate” casualmente, incredibilmente rassomiglianti ai gioielli d’ispirazione alchemica di Studio Fludd (che in effetti conobbi prima di leggere il racconto).

Il fatto è che le vere pietre preziose sono sì costosissime, sono sì una meraviglia della natura e al contempo dell’ingegno umano che le lavora e le usa per realizzare incredibili gioielli, ma su di me ha più effetto l’innaturale, stereotipata semplificazione del falso, della bigiotteria, di un materiale “travestito” da un altro materiale e che magari né è esattamente l’opposto, per valore e proprietà fisiche, come i saponi naturali creati dallo studio di design Pelle, intagliati a mano uno a uno, così che non ne esistono due uguali, e in modo tale da sembrare pietre o cristalli, ma in realtà pronti a consumarsi e a tornare a esser banali saponette (buone, profumate, ma banali) con l’uso quotidiano, tanto che viene quasi voglia di comprarle per arredare la casa, piuttosto che per lavarcisi.

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co-fondatore e direttore
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