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Droni e “guerra al terrorismo” sui tappeti afgani

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Elicotteri che ti fanno vibrare i vetri di casa (quando ce li hai, e i vetri, e la casa), scie luminose nella notte — poi il botto, città spazzate via dalle mappe, caccia che fischiano nel cielo, carri armati alle porte dei paesi, droni che sorvolano la zona, gente armata per le vie, ordigni inesplosi agli angoli delle strade, lanciamissili sui tetti.

La guerra, pure quando non t’ammazza o non ammazza qualcuno che ti è caro, ti entra dentro fin nelle ossa; prende in ostaggio ogni neurone; s’infila nei sogni che fai; striscia tra le parole che usi; dirotta riti e abitudini; prende a sberle princìpi e ideali; s’installa permanentemente in ogni moto dell’animo e ne distorce qualsiasi manifestazione, comprese quelle artistiche e artigianali.

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E gli afgani, che la guerra la vivono fin dall’invasione sovietica del ’79, fin da allora il loro status di popolo in “conflitto perpetuo” lo esprimono anche attraverso i tappeti, con missili, elicotteri e caccia a sostituire gli intricati motivi, i pattern che da secoli venivano sapientemente tessuti dagli artigiani locali e venduti in tutto il mondo.

I tappeti, in guerra — anzi, i tappeti di guerra, sono diventati strumento di cronaca, tanto che alle infinite variazioni sul tema “11 settembre”, all’inglese precario scritto nodo dopo nodo (Amrica, Msile…), si sono aggiunti i droni, freddi e silenziosi padroni dei cieli, che sono tra gli ultimi arrivi che si possono trovare sul sito War Rugs, fondato dall’imprenditore e collezionista americano Kevin Sudeith, che raccoglie alcuni degli esemplari prodotti negli ultimi trent’anni o giù di lì.

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Sudeith ha iniziato ad acquistare i “tappeti di guerra” nel ’96, dopo averne visto uno in casa di un architetto italiano.
Oggi, oltre a venderli, Sudeith mette anche i suoi tappeti a disposizione per esposizioni e musei di tutto il mondo, tanto che alcuni pezzi sono arrivati pure in Italia, per una mostra intitolata Calpestare la Guerra (fino al 1° marzo a Rovereto, presso Casa Depero; per approfondire l’argomento c’è anche un bell’articolo di Lisa Topi pubblicato sul sito della casa editrice Topipittori).

Il collezionista americano tra l’altro ha anche una teoria interessante, a cui accenna sulla pagina del sito che indica i vari stili dei tappeti. Accanto al link che porta a quelli relativi al ritiro delle truppe sovietiche, perlopiù raffigurato con mappe dell’Afghanistan e carrarmati tutt’attorno, Sudeith scrive che l’origine di questa estetica, prima di allora sconosciuta agli artigiani del luogo, potrebbero essere le opere del grande artista italiano Alighiero Boetti, che dagli anni ’70 fino agli anni ’90 fece tessere mappe del mondo proprio ai maestri afgani e pachistani, che da allora assorbirono il “vocabolario” stilistico di Boetti per utilizzarlo nelle loro opere.

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