La pizza dalla A alla Z: un’intervista in forma di abbecedario a Salvatore Aloe, “pizzaiolo”

Ti piace la pizza? Sì. E credi che basti? Quanto ne sai di pizza? Perché si fa presto a dire pizza, ma c’è pizza e pizza. C’è la napoletana ovvio, la romana certo, e la gourmet? E che vorrà dire “pizza gourmet”?

Per risolvere qualche dubbio, togliermi qualche curiosità, ho deciso di intervistare Salvatore Aloe, co-fondatore con il fratello Matteo di Berberè.
Berberè nasce nel 2010 dalla passione per il cibo (e l’intuito) dei fratelli Aloe. I due propongono una pizza “light” e “slow”, etica e sostenibile. Il primo locale in un centro commerciale a Castel Maggiore (Bo), il secondo in centro a Bologna e pochi mesi fa il terzo in centro a Firenze.

Caratteristiche principali sono: il ricorso ad una lievitazione con maturazione naturale e cioè senza l’utilizzo di lievito ma con la pasta madre, ottenuta dalla fermentazione naturale a temperatura ambiente delle farine attraverso gli zuccheri della frutta. La selezione e la miscela di farine diverse dal grano (farro, enkir, kamut). E la scelta di ingredienti biologici e stagionali.
Ma ora taccio e lascio parlare lui!


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A come Artigianalità

Artigianalità per noi ha un significato amplissimo, perché non ci limitiamo ad essere solo degli artigiani, ma vogliamo anche condividere il nostro sapere, le informazione con le persone. Questo progetto si fonda sull’artigianalità, sulla conoscenza e sul lavoro. Quindi trasferire le conoscenze di questo nostro mestiere ad altri ragazzi, che poi riescono a farlo a loro volta, è certamente la nostra lettera A anche per ordine di importanza!

B come Bellezza

Perché ultimamente abbiamo avuto la conferma che bellezza, verità e bontà sono in realtà la stessa cosa. Una cosa se è buona è quasi certamente bella, se è bella e buona è quasi certamente vera.

Siccome storco il naso, precisa:

Per bellezza ovvio non intendiamo solo il valore estetico.

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C come Calabria

Che è la regione da dove veniamo e, anche se ci torniamo sempre meno spesso, è comunque il posto dove affondano le nostre radici, al di là della nostalgia.
Ma anche:

C anche come Contadini

Perché entrambi i nostri nonni erano contadini e noi pensiamo che fare questo mestiere sia in qualche modo una prosecuzione del loro lavoro. Avere chiaro in mente qual è il lavoro di un contadino è, probabilmente, uno dei nostri segreti!

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D come Degustazione

Degustazione è la nostra formula in pizzeria, siamo tra i primi ad avere introdotto questa formula e ad aver applicato questo concetto. È il nostro modo per sottolineare la convivialità che sta dietro ad un cibo come quello che noi proponiamo. Pensa, siamo abituati a dire “ci facciamo una pizza”, anche se poi andiamo a mangiare del pesce, perché “facciamoci una pizza” in fondo vuol dire invitare l’altro a stare un po’ insieme. Noi lo vogliamo sottolineare con la nostra formula degustazione, che altro non è che condividere le pizze che vengono scelte tra i commensali.

E come Entusiasmo

Quello che abbiamo noi, sia io e mio fratello Matteo, che lo staff e che cerchiamo di mantenere anche tra le decine di difficoltà che si pongono ogni giorno. Cerchiamo sempre di farci forza e trasferire questo sentimento a chi lavora con noi e anche a chi viene a visitarci ed a mangiare qui.

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F come Felicità

Noi di F ne abbiamo 3. Felicità, Funky e Fatturato. Ogni sera chiedo ai responsabili dei tre negozi come sono andate le 3. La musica dei nostri locali è per scelta il funky. Il concetto di felicità è chiaro. E poi il fatturato, il meno poetico tra le tre F, ma ovvio se vuoi gestire un’impresa non puoi prescindere. Lo devi tenere sotto controllo, perché fare un’impresa ricca anche di contenuti e poesia non può prescindere dal fatto che è un’impresa e i conti devono essere sempre in ordine.

G come Gentilezza

Una parola che è nella Mission, che abbiamo scritto quando abbiamo fondato la società, e che entra sempre in ogni riunione con i ragazzi dello staff, soprattutto con quelli che stanno in sala ma non solo, perché non è solo una gentilezza commerciale, ma anche tra colleghi. Una sola cosa ci può fare rammaricare, anche a me personalmente, ed è l’idea di non essere stati abbastanza gentili con qualcuno in qualche occasione.

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H di Hotel

Va bene hotel? Siamo in giro dalla mattina alla sera…

Ride e rimugina un bel po’ Salvatore cercando la H, così divento buona e gliela abbuono e passiamo alla I:

I come Impasti

Impasti al plurale, perché non abbiamo un unico impasto e l’impasto non è unico e cioè non sempre lo stesso. Usiamo moltissimi cereali, abbiamo cercato di fare una ricerca sui grani antichi, quelli che ci interessano di più sia per il gusto che per le caratteristiche organolettiche e nutrizionali, e ogni sera proponiamo tre impasti diversi da tre cereali diversi.

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L come Lentezza

Nella accezione più positiva del termine. Lo abbiamo scritto anche su un muro “ogni cosa ben fatta ha bisogno del suo tempo” direi inclusa una pizza. Il tempo è un elemento fondamentale in più fasi. Ci vuole tempo per fare crescere il grano giusto, quello che cioè non acceleri chimicamente ma che curi solo meccanicamente.
Ci vuole tempo a preparare un impasto, a farlo maturare. Noi abbiamo impasti che necessitano minimo di 24 ore per raggiungere il momento della cottura.
Ci vuole tempo a formare un pizzaiolo, un nostro pizzaiolo per esempio non tocca un forno a legna prima di 6-7 mesi di formazione.
Ci vuole tempo a preparare la pizza ed a cuocerla. Tieni presente che in una pizzeria classica viene cotta a temperature molto alte e, avendo pochissima umidità nell’impasto, cuoce in un minuto circa; la nostra invece cuoce tra i tre e i cinque minuti a secondo dell’impasto usato.
E poi, per finire, invitiamo a consumare concedendosi del tempo. Ovvio che noi abbiamo come obbiettivo quelle di vendere il maggior numero di pizze in una giornata, ma vogliamo garantire la possibilità di godersela senza accelerare il servizio, senza stressare il servizio. Per esempio anche consentendo di riservare il tavolo. Un invito alla lentezza e a godersi il momento!

M come Massimo

Massimo è il nostro chef pizzaiolo ed è la persona che ci accompagna dall’inizio di questa avventura, forse quello che dall’inizio ci ha più supportato, insieme ad Ylenia. Ylenia la cito ora perché immagino (e spero) che non ci siano anche quelle lettere nel tuo abbecedario! Loro sono coloro che hanno reso possibile il passaggio di conoscenze a tutti i ragazzi che sono arrivati dopo. Noi al momento abbiamo 40 persone che lavorano per Berberè e almeno 10 sono in grado di preparare ed infornare una pizza perfetta.

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N come Napoli

Come continuo confronto con questo cibo che è stato inventato lì. E che continua a essere fatto in modo pazzesco lì. È un confronto che a volte si fa strumentale. La nostra – dicono – non è una pizza napoletana. E noi non vogliamo fare una pizza napoletana.
I maestri della pizza napoletana, con i quali siamo in continuo contatto, sono felici di sapere che c’è qualcuno che lavora sul concetto di pizza in modo diverso, pur con grande rispetto per il prodotto e facendone un prodotto di qualità.
Della nostra spesso sento dire “non è pizza” come una accusa, muovendo a noi questa critica più spesso che alle tante cose assurde che si vedono in giro. Non basta scrivere “vera pizza napoletana” e poi usare olio di semi e pomodori di dubbia provenienza …o mozzarelle che non sono mozzarelle.

P come Prodotti

Intesi come tutti gli altri oltre alle farine ed ai cereali di cui abbiamo parlato alla I di Impasto! E cioè quello che ora va di moda chiamare pizza topping. Noi a questi diamo la stessa attenzione che diamo alle farine. Una ricerca continua. Abbiamo fatto una scelta radicale che si esprime nel 100% biologico. Ma non basta che sia solo bio, è un prerequisito. Che non ci sia chimica, che non desertifichi il terreno in cui è coltivato.

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Q come Qualità

È una parola, qualità, che io non amo molto, ma con la Q qualcosa ti devo dire perciò dico Qualità…una parola abusata, però credo che nel nostro caso sia abbastanza coerente dire che cerchiamo di fare qualità.

R come Rivoluzione

C’è un incredibile libro che ha scritto Lucio Cavazzoni presidente di AlceNero [brand con cui le pizzerie Berberè condividono i locali, ndr] intitolato I semi di mille rivoluzioni, in parte nato durante un viaggio che abbiamo fatto insieme in Danimarca, per andare a trovare Matteo.

Salvatore è modesto e non lo dice, ma Matteo è stato per qualche mese al Noma di Copenaghen. Mi chiedo: a insegnare loro a fare la pizza? E loro in cambio gli hanno insegnato a cucinare le formiche? Ma taccio e lascio continuare Salvatore.

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Lì tra le altre cose abbiamo incontrato Claus Meyer, co-fondatore del Noma, ma soprattutto agricoltore e panettiere.
Lui ha iniziato a fare il pane quando si è accorto che in una nazione come la sua, di grande tradizione (pensa ai pani neri del Nord) il pane era diventato un prodotto morto, ammazzato dalla lavorazione industriale. Lui ha iniziato a fare delle performance in cui lanciava pezzi di pane industriale sugli spettatori e diceva “prendete ci sono 16 ingredienti”. Quando è ovvio per fare il pane ne bastano 4: acqua, farina, sale e lievito. Beh Claus ha costruito un percorso di produzione del pane casalingo, per insegnare di nuovo a fare il pane e poi ha aperto un certo numero di panetterie, che ora sono meta di viaggi gourmet. È stato lui, per la prima volta, a parlarci di rivoluzione, e in effetti non c’è parola migliore per indicare qualcosa (una tradizione) che viene ripresa coinvolgendo le persone, soprattutto se si parla di prodotti “popolari” come il pane.

Vero, intervengo, il paradosso della gastronomia è fare la rivoluzione con il semplice tornare indietro, guardando alla tradizione, al territorio, all’artigianalità.

Si, si torna ad antiche tecniche. Poi non ci si può dimenticare, che nel bacino del Mediterraneo ci sono ritrovamenti che risalgono agli Etruschi, già loro schiacciavano il farro per ridurlo in farina e poi se ci pensi il nome farina viene proprio da lì, dal farro. La nostra civiltà si fonda sulla trasformazione dei cereali e sulla lievitazione. Industrializzare, come poi tutto il resto del cibo dal dopo guerra in poi, è stata una grande disfatta. Rivoluzione quindi è riprendersi in mano le redini della propria civiltà!

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S come Stagionalità

Strano doverlo ripetere, pare perfino banale, ma c’è una ricerca recentissima che ho letto in questi giorni e che dice che gli under 16 non hanno la minima idea di quando è il periodo delle zucchine o del cavolo nero. In pizzeria, poi, per anni siamo stati abituati a chiedere “la 4 stagioni” che è un ossimoro se ci pensi, come andare in giro con pelliccia e costume da bagno. Oppure a chiedere in pieno inverno “puoi aggiungerci due zucchine?”.
Qui noi abbiamo fatto una sorta di forzatura, i nostri menù sono quattro, vengono aggiornati tutte le stagioni, non vengono fatte delle modifiche o aggiunte su richiesta. Questo forse ci porta a essere un po’ estremi, ma volevamo rispettare la stagionalità. Del resto non abbiamo neanche semi-lavorati, i carciofi che vedi sulla pizza arrivano qui con il gambo, con le spine, qualcuno in cucina li pulisce, così come avviene nelle cucine dei ristoranti di un certo livello. Niente è preconfezionato!

T come Temperatura

La Temperatura è fondamentale e va a braccetto con il Tempo, che ti ho menzionato nella lettera L di lentezza. Gli impasti devono riposare 24ore ad una temperatura costante. Uno degli investimenti tecnologici più consistenti che abbiamo fatto, è stato l’acquisto di un mantenitore di temperatura che tiene costante sia la temperatura che l’umidità dell’impasto. E ovvio che anche la temperatura del forno ha un ruolo fondamentale, perché come ti dicevo prima, noi abbiamo una cottura tra i tre e i cinque minuti, quando nella maggior parte delle pizzerie ne serve uno solo. Questo comporta per noi un forno ad una temperatura minore, arriviamo poco sopra di 300°C. Il nostro forno non arriva mai a picchi di 500-600°C come nelle pizzerie tradizionali.

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U come Umano

Il fattore umano è per noi elemento fondamentale, prima ho un po’ sfiorato l’argomento, per un’azienda come questa è fondamentale. Noi ora abbiamo tre locali, ma non siamo e non saremo mai una catena. Nella catena il fattore umano viene completamente azzerato. Vogliamo dare un lavoro qualificato e formare chi lavora con noi, formiamo artigiani. Mettendo il fattore umano al centro del pensiero di Berberè.

V come Viaggi

Per me e mio fratello Matteo sono fondamentali. Ogni 8 dicembre per esempio facciamo insieme un viaggio a Londra per ispirarci, respirare, lasciarci coinvolgere e vedere come cambia da un anno all’altro la città.

Ma come è iniziato questo vostro viaggio?

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Matteo è il vero appassionato di cucina, mi ha raggiunto a Bologna dove io ero già laureato in Economia Politica, lui è arrivato dopo perché anche se non sembra [ride, ndr] è il fratello minore. Lui ha studiato Economia e Marketing, ma da sempre ha una grande passione per la cucina. Da studente aveva già iniziato a lavorare in cucina. Ha avuto la fortuna di lavorare in ristoranti importanti come lo Scacco Matto, qui a Bologna, poi ha fatto sei mesi al Joia di Milano, uno stellato vegetariano, e subito dopo questa esperienza, nel 2010 è nato Berberè. Io nel frattempo mi ero occupato di retail, per società che hanno pensato e sviluppato concetti commerciali. Quindi le nostre due competenze si sono unite …

E la pizza? Come siete arrivati alla pizza?
Alla pizza siamo arrivati tramite il pensiero, perché la pizza è il prodotto più internazionale che c’è!

Intervengo io a dire che forse sono stati anche molto bravi a fiutare prima di molti il momento, insomma quelli in cui hanno iniziato erano anni in cui si iniziava a parlare di pizza di qualità, di pizza gourmet…

Sì vero, siamo stati tra i primi. Quando ci siamo messi a fare ricerca sulla lievitazione naturale c’era Simone Padoan che già faceva cose estreme nella pizzeria gourmet ma poco altro. Gli altri sono venuti contemporaneamente a noi o subito dopo. E la cosa è coincisa con un’attenzione anche da parte del mondo dell’enogastromia e degli appassionati di cibo. Che poi se ci pensi però la gente comune di pizza ne parla e ne ha sempre parlato anche semplicemente dicendo “facciamoci una pizza” come modo per dire passiamo una serate insieme… Il rischio era ed è che in casi così il prodotto, la pizza passi in secondo piano, che non si ponga l’attenzione a quello che si mangia… consentendo ad alcuni l’abbassamento del livello della qualità!

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Z come Zappare, dice e io rido, così lui fa una faccia perplessa e cerca qualcosa di diverso…E io suggerisco Z come Zivieri

Si potremmo parlare di Zivieri [macellaio, produttore di insaccati eccellenti, se non avete mai mangiato i prosciutti — io adoro il suo cotto — fatti da mora romagnola, non sapete che vi siete persi!. ndr] come esempio di un fornitore per tutti quelli che abbiamo. E con lui è successa una cosa divertente all’inizio.
Nel 2010, quando stavamo progettando l’apertura del primo locale, e Matteo si mette a fare il menù scopriamo che fare il menù di una pizzeria con prodotti di alta cucina è cosa difficilissima, sia per i motivi ovvi e cioè di costi, sia per la diffidenza dei fornitori. Per esempio, Matteo contatta Zivieri chiedendogli i suoi prosciutti e lui si rifiuta di fare la fornitura, così Matteo si fa “raccomandare” da un amico comune e manco allora Zivieri molla, decide di venire a provare la pizza e si porta dietro il suo prosciutto, ce lo mette sopra e solo in quel momento decide che la cosa è interessante e approva. Da allora ci segue, sostiene e fa prodotti dedicati, senza mai cambiare l’approccio e la qualità incredibile. E come lui tutti i nostri fornitori!

P.s. non so se voi ve ne siete accorti, ma abbiamo saltato la O. Io e Salvatore no, ma in fondo va bene così.

O no?

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