foto: Jasmine Deporta

Cos’è e cosa fa un wedding designer (da non confondere con wedding planner)?

Direttrice creativa di franzmagazine, rivista e piattaforma on/offline in doppia lingua, italiano/tedesco, dedicata al fermento artistico, culturale e imprenditoriale di un territorio di confine come l’Alto Adige, il Trentino e il Tirolo, Anna Quinz non s’è mai accontentata di fare un solo mestiere.

Frizzifrizzi era ancora agli inizi quando ho l’ho incontrata per la prima volta, a Roma, durante un festival dedicato alle riviste indipendenti. Da allora ci seguiamo a vicenda ma devo ammettere che ho sempre fatto una certa fatica a star dietro a tutte le sue iniziative e quindi a un certo punto ho smesso di chiedere «Anna, che fai ora?», sapendo che la risposta sarebbe stata non meno di un saggio di 150 pagine pieno di glosse e note a piè di pagina.

Poi, qualche settimana fa, eccola aggirarsi per sale di un antico palazzo bolognese. Con sé una cartolina con su un unicorno e un nome: The Wedding Enterprise.
Ed eccomi là, a intervistarla, col mio «Anna, che fai ora?»

* * *

foto: Jasmine Deporta

Dunque che fai, ora, Anna?

Lavoro sempre a Franz Magazine, da freelance faccio la copywriter, la stylist e organizzo eventi. Ma ho anche lanciato un laboratorio di wedding design per matrimoni “culture based”: The Wedding Enterprise.

Cos’è un wedding designer? Non l’ho mai sentito prima.

Sostanzialmente faccio un lavoro di art direction per sposi (nel senso più ampio del termine, quindi sposa-sposa, sposo-sposo, sposa-sposo) che abbiano voglia di un matrimonio molto personalizzato…
Anche se in realtà “personalizzato” è quello che ti dice qualsiasi wedding planner. Però l’idea è quella di fare un lavoro di “branding” — che chi opera nella comunicazione fa tutti i giorni per aziende o simili — ma che raramente si fa nel settore dei matrimoni.

Di solito si sente appunto parlare di “wedding planner”.

Sì in Italia la figura del wedding designer, che lavora alla parte estetico-creativa e non all’organizzazione, è ancora poco conosciuta. A me della parte organizzativa interessa poco o niente.

foto: Jasmine Deporta
foto: Jasmine Deporta

E i matrimoni “culture based” che sono?

Di solito chi deve sposarsi cosa fa? Va nelle fiere apposite, quelle per gli sposi, e gira, prende volantini e cataloghi.
Questo senza farsi alcune domande fondamentali e cioè: chi sono io? Cosa mi piace? Cosa deve rappresentare per me il matrimonio? Devo per forza avere la bomboniera perché tutti hanno la bomboniera? Devo fare per forza il matrimonio “rustico”, visto che adesso va tanto di moda, anche se io di rustico non ho niente?
La mia idea è di fare appunto dei matrimoni tagliati su misura sulla coppia e sulle persone.

Quindi immagino tu faccia una sorta di “intervista”, prima.

Sì, tra l’altro sono anche una giornalista quindi applico quello che so fare. Dopo l’intervista costruisco un concetto e il passaggio successivo è la messa in relazione degli sposi con tutta una serie di figure professionali — chiamiamole creative — che normalmente non lavorano nel settore dei matrimoni.

foto: Jasmine Deporta

Del tipo?

Non il negozio di bomboniere, non il negozio di abiti da sposa ma quelli che sono tutti i contatti del mio mondo, quello di art director, e quindi artisti, designer, fashion designer, illustratori…
Gente che normalmente non si occupa appunto di matrimoni e che quindi ha una visione completamente diversa di quello che può essere l’incarico perché chi fa solo matrimoni ha tutto un suo pacchetto prodotti ma se invece, facciamo un esempio, chiedi a un illustratore lui nel fare il lavoro penserà a te, non al matrimonio.

Come fosse un incarico editoriale.

Esattamente.
E quindi quello che provo a fare è mettere in comunicazione questi mondi e offrire tra l’altro ai creativi… No, creativi è una parola che odio, diciamo le figure professionali di cui sopra qualche inedita occasione di reddito.
Mi sono resa conto anche tutti i “creativi” che hanno fiutato il business del matrimonio e che quindi ci lavorano, di solito ragionano in modo diverso da quanto farebbero per altri loro lavori e costruiscono invece dei passaggi standard, perché forse c’è la paura di proporre qualcosa di diverso.
Ma quello che penso è che gli sposi non sono una categoria a sé, sono persone normali che in un giorno della loro vita si sposano. Non è che diventano dei deficienti! Alcuni magari sì, ma mica tutti.

foto: Jasmine Deporta

E sulla fotografia? Sono tantissimi gli artisti che per sbarcare il lunario, parallelamente alla loro ricerca, fanno foto di matrimoni.

Infatti sto facendo una ricerca proprio su questo, proprio perché è quel settore più facilmente “liminale”. Perché appunto di fotografi d’arte che per campare fanno matrimoni ce ne sono tanti. Eppure secondo me basta cambiare il tipo di richiesta.
Di solito per i matrimoni ti si richiede sempre la stessa cosa, un certo tipo di immagine.
Quindi sto discutendo e ragionando con parecchi fotografi che conosco per cercare dei modi diversi, “altri”, per sviluppare nuovi concetti di fotografia da matrimonio.

I — “chiamiamoli creativi” — come la percepiscono questa tua idea? Sono prudenti? Hanno paura?

In realtà c’è una grande curiosità. Credo che la sfida nuova, fuori dalle loro abitudini, affascini. Poi ovviamente vanno sulla fiducia perché mi conoscono, sanno che non li chiamerei mai per cose che vanno contro il loro stile e il loro linguaggio. L’idea è di trovare i “creativi” giusti per i clienti.

Vedo che ti stai scontrando con un vocabolario che è già stato abbondantemente snaturato, soprattutto nel settore matrimoni. Creativo, su misura, unico…

Il progetto per ora è in una fase embrionale e la cosa su cui sto lavorando più di tutto in questo momento è studiare il linguaggio. Cioè capire quali parole si possono usare per riuscire a parlare a entrambi i miei target, da una parte gli sposi, dall’altra le persone con cui voglio lavorare, solo che dire ogni volta “designer, fashion designer, illustratori…” è lungo.

foto: Jasmine Deporta
foto: Jasmine Deporta

E che considerazioni sei arrivata studiando il linguaggio?

Quella sul linguaggio è solo una parte della mia ricerca, che sto facendo all’interno di un sistema d’incubazione d’impresa chiamato Fies Core — lanciato da Centrale Fies — in cui sono entrata con The Wedding Enterprise.
Nella comunicazione, e il mio progetto lo considero parte di questo settore, si abusa di termini come creativo, innovativo, contemporaneo, originale, unico, su misura… E anche nel settore sposi tutti ti vendono il matrimonio unico e personalizzato, poi guardi i portfoli e sono tutti uguali!
Costruire un vocabolario è molto difficile e ci sto ancora lavorando. Come fai a non usare “creatività”? Gianluigi Ricuperati propone “inventività”. Forse si può ritirar fuori il concetto di “fantasia”?

Munari!

E comunque c’è un grosso lavoro da fare. Perché se rinnovi il vocabolario bisogna però che ti faccia pure capire.
Perché — diciamo la verità — il matrimonio è un ottimo business, perché gli sposi pagano, perché non li devi fidelizzare, essendo un lavoro che in teoria fai per loro solo una volta.
E proprio per questo bisogna comunicare bene, prenderlo subito, il cliente. Ci dev’essere empatia immediata ma poi una volta che è fatta, è fatta, non ritorna di sicuro. Sì magari mi consiglia a una sua amica o a sua cugina ma poi non è detto che vogliano una cosa come quella che offro io.

foto: Jasmine Deporta
foto: Jasmine Deporta

Quando hai lanciato il progetto?

Ufficialmente è partito a novembre, quindi è nuovissimo. L’ho lanciato in concomitanza con una fiera per sposi che si è tenuta a Bolzano, la mia città. È stato un bellissimo test perché lì mi sono resa conto di quanto sia difficile far “passare” un concetto del genere perché chi vuole organizzare matrimoni va in fiera in cerca di tutt’altro, di cose completamente diverse da quelle che voglio proporre io.
Gli sposi cercavano i diamanti, il fiorellino, l’abito con le paillettes e poi arrivavano da me e faticavano pure a capire il mio ruolo, quello del wedding designer. Conoscevano solo il wedding planner.

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Quindi in fiera eri una sorta di “bestia rara” (l’unicorno della tua cartolina promozionale!). Ma cosa hai visto lì? Io non ho in programma di sposarmi e di questo settore ne so poco o nulla. Di cosa si parla, oggi, quando si parla di matrimonio?

Esatto, io ero l’unicorno!
Comunque Il mondo del matrimonio, per fortuna, è molto cambiato. Lo “standard” esiste ancora e se vai in fiera o compri le riviste per sposi te ne rendi conto, ma ci sono anche tante nuove tendenze che però finiscono spesso per essre monotematiche. Per cui si è passati dal kitsch allo shabby chic all’hipster. Dall’America all’Australia, passando per l’Europa, le tendenze sono quelle e basta farsi un giro su Pinterest per rendersene conto.
L’alternativa al matrimonio classico spesso è il matrimonio “famolo strano” ma la mia idea non è né l’una nell’altra ma mettere insieme qualcosa per te, coerente, al di fuori delle tendenze e delle mode.

Come ti è saltato in mente di buttarti in un’iniziativa simile?

Perché io mi sono sposata l’estate scorsa, mi sono costruita in questo modo il mio matrimonio, andando a cercare cose che fossero assolutamente a misura mia e del mio sposo, costruendo un concetto, un immaginario, un logo, esattamente come si fa nella comunicazione aziendale.
E infatti la prima “case history” è la mia e le immagini sul sito [che sono le stesse che accompagnano quest’intervista, ndr] sono del mio matrimonio.

Hai già avuto clienti?

La prima cliente che ho è su Milano. Il progetto non è “local”, anche perché sulla mia Bolzano il bacino d’utenza non sarebbe abbastanza grande.
Ho la fortuna guadagnarmi il pane con altri lavori quindi The Wedding Enterprise è un progetto che posso seguire e far maturare con calma, senza bruciare le tappe e studiando bene ogni fase.

foto: Jasmine Deporta
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