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La vecchia macchina si mette in moto, azionata dal pedale. Le ruote che girano. E il capanno si riempie dallo sferragliare ritmico di una tecnologia che in molti pensavano sarebbe andata in pensione per sempre, soppiantata dalla stampa moderna, e invece eccola lì, ancora funzionante, ben oliata dalla passione di un artigiano che ha passato la sua intera vita a dar corpo alle parole scritte da qualcun altro.
«Era il 1955 e mio padre rispose a un annuncio di lavoro che aveva letto sul Daily Telegraph. L’annuncio era per un lavoro in Australia. Il lavoro quello della stampatore. Mio padre pensò che poteva essere una bella idea andare a prendere un po’ di sole in Australia, così partì e si portò dietro tutta la famiglia. E diventò un tipografo del Daily Telegraph di Sydney».
Comincia così la storia di William Amer, figlio di quell’avventuroso papà che non ci pensò due volte a cambiar vita e se ne andò dall’altra parte del mondo.
«All’epoca quella della stampa era un’arte che si tramandava di padre in figlio», racconta William, ormai anziano, in questo breve ma affascinante documentario sulla stampa a caratteri mobili girato dal duo Of Two Lands.
Lui imparò così, guardando suo padre lavorare. Ma poi negli anni ’70, quando decise di mettersi in proprio, la stampa a caratteri mobili diventò obsoleta, «un’avventura costosa» come la definisce William, e dunque dovette far spazio per i nuovi macchinari, per le nuove tecnologie, per non restare indietro.
Le sue vecchie macchine, tutte le attrezzature accumulate nel tempo, William le mise in un capanno. E in quel capanno lui non ha mai smesso di andare a lavorare. Era — ed è ancora — la sua fuga dal mondo.
«Sono sposato da 44 anni e posso dire che la letterpress ha salvato il mio matrimonio», dice.
Oggi William è in pensione. Ma insegna tecniche di stampa, e continua ad aprire il lucchetto, ad aprire i cassetti pieni di caratteri, a passare l’inchiostro, ad azionare il pedale, a passare le giornate in mezzo a quello sferragliare regolare.