BBB14 | Anna Deflorian e la camera 208

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In pieno centro, a Bologna, proprio dietro Piazza Maggiore, c’è uno storico hotel che si chiama Al Cappello Rosso e che è lì praticamente da sempre. Già nel ‘300 i pellegrini di passaggio per la città andavano a sbevazzare e a riempirsi lo stomaco in quella che al tempo si chiamava hosteria del cappello e di oste in oste l’attività si è spostata per le vie della città fino a raggiungere l’attuale posizione di via De’Fusari all’incirca nella metà del ‘600.

Da allora Al Cappello Rosso è lì, funziona principalmente come hotel e, oltre a portarsi dietro secoli di storia, da qualche anno i proprietari hanno avuto la felice intuizione di collaborare con gli eventi più importanti che si tengono a Bologna, ospitando artisti e designer di tutto il mondo e offrendo loro la possibilità di lavorare a progetti ad hoc all’interno delle stanze.
Collaborazione che va avanti da tempo anche con il BilBOlbul: nelle ultime edizioni del festival internazionale del fumetto sono infatti passati (e hanno lasciato il segno) per il Cappello Rosso artisti come Blexbolex, Liniers, Ruppert & Mulot e Baronciani.

Quest’anno l’onore di poter vivere e lavorare in una delle stanze dell’albergo l’ha avuto Anna Deflorian, illustratrice trentina classe 1985 di cui abbiamo parlato già diverse volte qui su Frizzifrizzi.

Durante il festival — infiltrandomi nell’hotel prima dell’arrivo della folla vociante in tour per mostre, presentazioni e laboratori, ho visitato la stanza a cui ha lavorato Anna.
Girare per le stanze di un albergo — se di quell’albergo non sei ospite — è un’esperienza strana. Camminando per i corridoi, cercando di immaginare le storie di passaggio chiuse dietro a ogni porta, fermandoti per ascoltare ogni singolo, felpato, ovattato rumore, ti vengono in mente le scene di decine di film. Ti viene in mente ovviamente Shining. La cascata di sangue. Le gemelle. Wendy, sono a casa amore. La stanza 237.

Ma la stanza che cerco io è la 208, che ha — unica in tutto l’hotel — uno strano battente egizio sulla porta. E Anna, più che illustrarla, l’ha decorata, dimostrando un gusto notevole e lasciando spiazzati (con uno “scarto laterale” a mio avviso acutissimo e indice di una certa maturità e consapevolezza di sé) tutti quelli che si aspettavano di vedere le sue ragazzone dai maglioncini fluo dipinte alle pareti.
Come e perché abbia deciso di intervenire in questo modo Anna me l’ha raccontato il giorno prima, quando l’ho incontrata per intervistarla. Sulla camera 2008, ma non solo.

* * *

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Raccontami il tuo intervento al Cappello Rosso. Potevi fare di tutto?

Sì, spostare, dipingere le pareti, cambiare quel che era possibile cambiare. Ad esempio le tende. Io ho fatto cambiare le tende ma i mobili li ho lasciati così com’erano, però ho fatto mettere altri pomelli alle ante e ai cassetti.

Che altro tipo di interventi hai fatto?

In realtà ho giocato sulla semplicità. Ho voluto mantenere la sensazione di anonimato che c’è nelle stanze di albergo.
Penso che il Cappello Rosso sia speciale perché ha tante stanze tematiche. Però, appunto, quello che a me piace di più delle stanze d’albergo è il loro essere anonime.

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Hai creato quindi una sorta di scenario per quello che è poi il tuo immaginario artistico? L’ipotetica stanza dove ambientare una delle tue storie?

Non del tutto. Ciò che in realtà ho pensato è a come avrei disegnato io una camera.
Ho appunto cambiato le tende, mettendone di nere. Ho disegnato delle greche, delle geometrie, dei riempimenti, dei vasi…
Ho lavorato sulla decorazione più che sull’illustrazione. Non mi sono sentita di inserire figure, personaggi, che magari è quel che la gente si aspetta ma che trovo sarebbe stato troppo kitsch, almeno nel modo in cui l’avrei fatto io.
Mi interessava invece mantenere una certa leggerezza, con un intervento discreto.

Che è poi l’esatto contrario del tuo stile come illustratrice, riconoscibilissimo e tutt’altro che “mimetico” e discreto. Quando ti trovi davanti a un’opera di Anna Deflorian non hai il minimo dubbio che sia di Anna Deflorian.

Ho sempre disegnato ma in realtà ho iniziato dipingendo. All’illustrazione sono arrivata in un secondo momento e al digitale relativamente tardi. Visto “dal di dentro” credo che lo stile di cui parli stia in realtà evolvendosi molto velocemente. Sento che ogni anno c’è uno “scalino” da fare: lavorare per migliorare.
Il mio lavoro, comunque, lo vedo più come una ricerca estetica: sono più interessata al decoro di una superficie che al trovare un significato.

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A proposito di questo: nelle tue opere vedo una grande ricerca in ambito “moda”. I pattern, le linee, i colori degli abiti…

Fin da quand’ero piccola ho sempre pensato che i personaggi dei fumetti, tranne in rari casi, fossero vestiti male.
Ci tengo molto a questo tipo di ricerca al contempo però sono costantemente attenta a non esagerare perché non voglio che questo aspetto, nei miei lavori, diventi una cosa “facile”.

Cioè?

Ci sono tanti illustratori, soprattutto su Tumblr, che giocano sull’illustrazione di moda.
Io di riviste di moda ne guardo tante, per me sono un’ispirazione continua ma non mi interessa “illustrare la moda”, non è questo il tipo di lavoro che faccio.

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Il tuo immaginario pesca a piene mani negli anni ’80 e ’90. E quando guardo i tuoi lavori mi sembra sempre di sentire una musica, di ascoltarne la colonna sonora.

Questo per me è davvero importantissimo. Credo che tra l’immagine e il suono ci sia una relazione strettissima. Per me è sempre stata una fissa. Ci sono illustrazioni, ad esempio di altri artisti, che secondo me hanno un suono, che può essere ripetitivo, oppure una nota sola, o delle parole ripetute…
Non so se succede solo nel mio cervello o capita a tutti!

Una specie di sinestesia.
Devo avercela pure io perché le tue opere, per le “inquadrature”, i dettagli, i soggetti, nella mia testa sono come frammenti di un video. Un video che non esiste ma che è in qualche modo possibile e plausibile. Semplificando: ti sei accorta che quando disegni fai dei video? Come fai?

Hai ragione, le mie storie sono effettivamente dei videoclip. Io non sarei mai in grado di girarne e quindi li faccio così.
Hanno un inizio, una fine, un tempo non specifico, più dilatato…

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Hai mai pensato di lavorare con l’animazione?

Mi piacerebbe molto. Però vorrei fare qualcosa di specifico, non un semplice adattamento di un’illustrazione o una serie di illustrazioni.
La realtà però è che non ne sono capace e che non ho voglia di mettermi a imparare adesso perché sarebbero anni di lavoro e a me piace disegnare.

Parliamo di Roghi, che è un progetto più complesso e che quindi immagino abbia avuto bisogno anche di una fase di scrittura.

Sì, è un libro grande e per i miei standard anche abbastanza lungo quindi c’è stato bisogno di lavorare su una narrazione che reggesse il tutto.
A un certo punto sono andata in crisi e avrei voluto fare solo tavole “piene”, spingere solo sul lato estetico, però non è stato possibile perché Canicola ha insistito per avere appunto una parte narrativa e ho voluto fare un fumetto classico, usando la griglia del fumetto.
Le nuove cose che farò saranno diverse. Avranno delle “pause” tra una tavola e l’altra…

Anna Deflorian | tavole tratte da “Roghi”, Canicola Edizioni
Anna Deflorian | tavole tratte da “Roghi”, Canicola Edizioni

Sono molto curioso, visto che sono convinto che tu abbia un gran senso del “tempo” come ti dicevo prima a proposito del lato musicale delle tue opere.

Sei la prima persona che me lo dice. Questa cosa della musica, intendo. E per me è la cosa più importante, la più bella, quella a cui tengo di più.
Tra l’altro è tanto che penso di fare la biografia di Bach.

Hai scelto un personaggino da niente!

È il mio preferito.

Tutte le scale, i canoni, la perfezione matematica.

Quando ascolti Bach in realtà lo vedi. La sua musica ti si materializza davanti.
Quindi in effetti sì, forse soffro di una forma sinestesia. Ma “soffrire” non è la parola giusta. A me piace.
Tra l’altro l’ho scoperto da poco cosa sia la sinestesia: volevo fare un calendario dove ogni settimana sarebbe stata un trapezio — perché per me le settimane sono effettivamente trapezi rettangoli, per la precisione trapezi rettangoli neri — e un mio amico ha tirato in ballo la sinestesia, io ho cercato un po’ di informazioni e quindi sì, credo di averla.

Anna Deflorian | tavole tratte da “Cocktails vol.1”, edito da Studio Pilar
Anna Deflorian | tavole tratte da “Cocktails vol.1”, edito da Studio Pilar
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