Il gigante Polifemo abitava, questa la leggenda, in una caverna immensa, nel buio e nell’umido ho sempre immaginato io.
In compagnia del suo gregge passava le giornate e tra i lavori che la pastorizia impone, viveva il suo tempo in un ambiente non esattamente pieno di agi. Dopo aver mangiato qualche compagniuccio di Ulisse, preso dalla stordimento del vino che il Laterziade con l’inganno gli aveva fatto bere, il povero Polifemo, vittima della sua stessa mole e ingordigia si addormentò distrutto dai fumi dell’alcool.
Tralasciando l’orrida fine e la perdita dell’unico occhio per volere dello scaltro Ulisse, il ciclope addormentandosi avrebbe potuto benissimo usare, per rendere più comoda e confortevole la sua ultima pennichella da vedente, una delle coperte intessute da Jacqueline Fink.
La dimensione dei suoi lavori, dei nodi che compongono la trama, la strutturazione volutamente sovradimensionata dell’ordito ben si accompagna all’idea di un prodotto intessuto ad uso e consumo di un gigante.
Jacqueline realizza i suoi lavori con lana di pecore australiane e della Nuova Zelanda, per “sferruzzare” i suoi lavori si aiuta con enormi ferri da calza che nessuna nonna avrebbe mai sognato di tenere nel cesto del cucito, più simili a lance che ad attrezzi per creare, i suoi lavori si ispirano ad una ricerca personale sulla tattilità della materia base, una sintesi perfetta di originalità del lavoro artigiano in contrapposizione alla produzione stereotipizzata di massa.
Quello che Jacqueline crea è il perfetto esempio di ricerca di uno stile proprio, di un marchio creativo fatto non di numeri ma di idee straordinarie e il risultato è sotto gli occhi di tutti.