da sinistra: Robin Sharma, Jack Canfield, Brian Tracy, Kim e Robert Kiyosaki, Jeffrey Gitomer (elaborazione grafica)

Il successo del “successo”

«Ma non siamo forse tutti tremendamente felici?
Non siamo forse tutti, inevitabilmente sulla via del successo?»
Ettore Sottsass

Come ottenere il meglio da se stessi e dagli altri, Le 7 regole per avere successo, I segreti della mente milionaria, Come trattare gli altri e farseli amici… sono tutte pubblicazioni che appartengono al grande filone della manualistica di crescita personale.

Sembra che nessuno li legga, ma in realtà i self-help (come vengono chiamati) vendono moltissimo, alcuni sono bestseller da milioni di copie. Gli autori sono spesso veri e propri guru e, anche se forse a voi non dicono nulla nomi come Anthony Robbins, Brian Tracy, Robert Kiyosaki, Jeffrey Gitomer, Jack Canfield, sappiate che si tratta di opinion leader continuamente in giro per il mondo a tenere seguitissime conferenze.

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Tom Peters (In Search of Excellence, 1982) fattura tra i 70.000 e i 90.000 dollari a seminario e si ritiene che guadagni sei milioni di dollari all’anno solo con i propri interventi.

Si stima che siano circa cinquanta queste global supertars, per un mercato mondiale poco al di sotto del miliardo di dollari all’anno [dati C. Salmon, 2008].

Sono tutte persone accomunate da storie di riscatto sociale ed economico: con un’infanzia spesso indigente e sbandata alle spalle, sembrano essere la dimostrazione tangibile che si può ottenere tutto quello che si vuole dalla vita.
Loro stessi sono i primi garanti di quello che scrivono: «questo metodo l’ho sperimentato di persona, per questo posso assicurarti che funziona!».
Sulle copertine dei libri vengono immortalati con sorrisi sicuri, sovrastati da titoli che devono decisamente colpire, non importa se rischiando di risultare retorici o eccessivi: le parole usate devono essere chiare e perentorie.

Nel mondo della saggistica movitazionale esistono principalmente due grandi correnti: la prima, orientata verso i temi della ricerca del successo economico-sociale (ottimizzazione del lavoro, pianificazione degli obiettivi), è caratterizzata da idee fortemente americanocentriche di scalata sociale, un approccio non moralista del fare soldi e una concezione dei rapporti sociali diretti verso l’interesse personale.

Il secondo filone invece punta il suo interesse verso la ricerca dell’equilibrio interiore (capacità auto-motivazionale, meditazione, vita spirituale), in questo caso sono evidenti l’impronta new age e la rielaborazione all’occidentale di teorie orientali.
Tra i titoli più famosi possiamo citare Il monaco che vendette la sua Ferrari o La via del guerriero di pace.

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La maggior parte di questi scrittori è americana: «È possibile», scrivono i ricercatori David Greatbatch e Timothy Clark «che alcuni tratti della società americana abbiano favorito lo sviluppo dei guru del management e delle loro teorie: […] l’insistenza sul sogno [americano], un senso idealizzato del possibile e l’idea che gli individui si adattino a un futuro dinamico».

Insomma gli Stati Uniti sono chiaramente l’humus culturale nel quale si sviluppano i self help, anche se esistono declinazioni in ogni paese (i guru italiani si chiamano Roberto Re o Alfio Bardolla, n.d.a.).

La struttura dei libri segue una dinamica abbastanza consolidata: la prefazione introduce il tema e garantisce l’efficacia delle teorie trattate. «Quanto più rapidamente [questi principi] riuscirai a farli tuoi ed applicarli alla tua realtà, tanto più velocemente vedrai progredire la tua carriera. Garantito!», scrive Bryan Tracy in una sua prefazione.
La garanzia sull’efficacia dei metodi esposti è assoluta ed emerge nelle pagine iniziali tutta l’anima di un autore che è anche venditore.

A volte il linguaggio usato non è solo persuasivo ma assume il tono della rivelazione, con frasi come «per la prima volta avrete modo di attuare un metodo che mai nessuno vi ha insegnato…».
I testi sono sempre divisi in piccoli capitoli ed esprimono concetti molto semplici: titoli come Fai un passo alla volta, L’importanza della motivazione, Metti a frutto i tuoi talenti, vengono quasi sempre accompagnati da esempi concreti presi dal proprio vissuto o da esperienze di altre persone, indicate vagamente con un nome, forse fittizio, o con un vago «uno spettatore mi chiese un giorno…».

Spesso capitoli sono a loro volta frazionati in punti come I 7 principi per la concretezza, I 10 punti dell’autoanalisi, Padroneggia gli 8,5 super elementi del posizionamento (non sto scherzando, sono proprio 8,5 i punti che Jeffrey Gitomer mette in un suo libro!).
I contenuti sono semplici, chiari e scorrevoli, perché è meglio correre il rischio di sembrare banali piuttosto che quello di non farsi capire. Tutto è raccontato per condurre ad azioni concrete, tanto che spesso alla fine di ogni capitolo troviamo vere e proprie esercitazioni da realizzare immediatamente, indicate come azioni da intraprendere, del tipo «Chiedete ora un feedback ai vostri tre clienti più importanti e sintetizzate le risposte qui sotto».

Quote e percentuali ricorrono spesso tra le righe, «il 98% delle persone agisce…», «solo il 3% è in grado di gestire un lavoro in piena autonomia», «la regola dell’80/20 consiste…», «L’85% del successo dipende…», anche se non vengono praticamente mai citate le fonti dei dati: gran parte non sembrano essere frutto di statistiche o numeri scientificamente provati, quanto piuttosto cifre che l’autore utilizza a sensazione e che servono ad esprimere con maggiore forza i concetti esposti.
«La gente non vuole più informazioni», scrive Annette Simmons, «vuole credere in te, nei tuoi fini, nel tuo successo, nella storia che tu racconti. È la fede a smuovere le montagne, non i fatti. I fatti non fanno nascere la fede».

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L’intenso sforzo alla semplificazione porta in qualche caso a delle vere e proprie inesattezze facendo diventare il concetto finale non del tutto vero, se non proprio falso. Faccio un esempio: quando nel suo libro Massimo rendimento Bryan Tracy parla della paura, sostiene fondamentalmente che «la sola cosa buona della paura, ammesso che ci sia qualcosa di buono, è che viene appresa, e in virtù di questo fatto può essere disappresa».

Se si approfondisce l’argomento si scopre che in realtà è provato — anche in via sperimentale — che solo alcune paure sono acquisite attraverso l’esperienza e alla crescita, mentre una buona parte di esse sono insite nella corteccia cerebrale (più precisamente l’Amigdala). Nasciamo dunque già con paure che ci portiamo dietro da parecchi milioni di anni: «[Molte paure] hanno carattere allarmante per tutti, favoriscono comportamenti legati alla sopravvivenza e hanno quindi un ruolo biologico ben definito. […] Poiché la capacità di riconoscere il pericolo favorisce la sopravvivenza e la riproduzione, l’abilità nel reagire correttamente agli indizi allarmanti è andata selezionandosi, e ora fa parte del corredo comportamentale di base sia degli animali sia dell’uomo». (da Psicologia della paura di Anna Oliverio Ferraris, 2013).

Insomma approfondendo si scopre che è molto, ma molto più difficile superare le paure di quanto Tracy ci voglia far intendere. Per riuscire a fare in modo che queste paure fisiologiche non ci limitino nella vita, beh, molto probabilmente dovremmo andare oltre alla semplice fiducia in noi stessi.

Un altro esempio: la “rettitudine morale” è identificata come elemento essenziale per il raggiungimento del “successo”.
Da questo punto di vista — in via del tutto teorica — sarei anche d’accordo, ma la prassi sembra non seguire esattamente quanto affermato. Molte delle persone di successo, le stesse citate in questi libri, hanno affrontato percorsi che potremmo definire non socialmente corretti. Oppure vogliamo negare che un certo Steve Jobs abbia seguito per decenni una politica di accordi illeciti per la gestione e assunzione dei propri dipendenti, (qui il patteggiamento) o che un certo Bill Gates abbia rubato gran parte della proprietà intellettuale che stava alla base del sistema operativo Apple, utilizzandola per il primo Windows? O ancora, che un certo Mark Zuckerberg durante la sua folgorante carriera abbia dovuto scavalcare più di qualche collega e/o amico in modo non del tutto corretto? (vedi qui alla voce “controversie legali”).

Avrebbero raggiunto i loro obiettivi anche se non avessero utilizzato metodi socialmente e giuridicamente scorretti? Forse sì, ma può darsi anche di no. Gli autori dei manuali di crescita danno al lettore una verità ma senza mai complicarla troppo. Gli esempi forniti sono quelli che danno ragione alla teoria descritta, non ci sono mai eccezioni, non si articola mai troppo un argomento.
Il limite di questi autori è però anche la loro forza. Proprio la semplicità del linguaggio fa sì che problemi complessi possano essere ridotti all’essenziale, facili da capire e facili da affrontare. Certamente non tutte le questioni hanno soluzioni articolate e ridurle ai minimi termini con un linguaggio chiaro e scorrevole è — a volte — efficace ed evita l’immobilismo tipico di chi fa troppa teoria.

Quello che promettono i self-help è la semplificazione di un problema e propongono un “metodo” per riuscirlo a risolvere: se ti comporti così non potrai che ottenere quello che vuoi, e il caso, la fortuna, le coincidenze non esistono. Esiste un mondo in cui tutto torna, nel quale il punto centrale è avere forza di volontà e metodo. Chissà, forse hanno ragione loro: forse vogliono semplicemente farci capire che il problema non è la realtà, ma come riusciamo a raccontarcela.

editorialista
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  1. Articolo molto interessante che ho letto con piacere. La vera forza di questi "guru" è che forse, al mondo, esistono troppe persone insoddisfatte che cercano una bacchetta magica per aggiustare tutto.
    Un saluto, ciao!

  2. Ciao Fabio, sono completamente d’accordo con te.. siamo nell’era dei Guru e/o Fuffa Coach che inducono un pò a pensare all’esistenza della bacchetta magica per aggiustare tutto. Comunque l’articolo di Tommaso mi è piaciuto molto.

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