
Quando uscirono, nei primi anni ’70, la maggior parte di quelli che ne hanno saccheggiato l’immaginario e l’iconografia — per grafiche, volantini di eventi, t-shirt, spillette, poster da appiccicare alla stanza doppia in subaffitto, foto profilo sui social network — dovevano ancora nascere.
Ma i due dischi dell’era Ziggy Stardust di Bowie — The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars e Aladdin Sane — quei suoni, quel volto, quel lampo, la teatralità, hanno scavato un solco profondo non soltanto nel mondo della musica e della cultura popolare in genere ma hanno anche creato un raro caso di meme che ha assunto una vita propria a partire dalla copertina di un disco, attraverso rielaborazioni, parodie e omaggi (altri esempi che mi vengono in mente così su due piedi, oltre appunto allo Ziggy col lampo rosso-blu di Aladdin Sane, sono Abbey Road dei Beatles, The Dark Side of the moon dei Pink Floyd, Sticky Fingers degli Stones e The Velvet Undergound & Nico).
Ora Ziggy — alter ego spaziale di Bowie dal 10 febbraio del ’72 al 3 luglio del ’73, quando tenne il suo ultimo concerto e se ne tornò tra le stelle — atterra di nuovo, per una notte, sulla Terra. Protagonista di una mostra che, seppur fuori mano (è a Portland!) raccoglie opere stardustiane, realizzate da artisti di tutto il mondo e visibili (oltre che in vendita) sul sito Ziggy.is.











