Greetings from Milano: la prima personale di Marco Goran Romano

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Tra i suoi clienti può vantare testate del calibro del New York Times, Le Monde, Wired, GQ, ESPN, Il Sole 24 Ore, La Repubblica e Il Corriere della Sera (solo per citarne alcuni), lo storico periodico americano Print Magazine l’ha addirittura incluso tra i 20 artisti sotto i 30 anni più promettenti, ma finora Marco Goran Romano, artista salentino classe 1986, non si era ancora messo alla prova con mostra.

La sua prima personale ha deciso di dedicarla alla sua città d’adozione, Milano, dove vive dal 2011.
E Greetings from Milano — questo il titolo — è una dichiarazione d’amore “cantata” attraverso dieci acrilici su legno, diciotto opere su supporto misto di medio e piccolo formato, quattro disegni su carta e due sculture.

Per Marco, che viene dalla provincia, la “capitale morale” d’Italia — nonostante tutte le sue contraddizioni — è diventata una culla, un’amica, una fonte d’ispirazione, uno scenario dentro al quale ambientare la propria vita. Semplicemente è diventata una casa. La sua. Da raccontare con un’esposizione che idealmente è come una gigantesca cartolina da spedire a chi abita lontano ma anche e soprattutto ai milanesi, che per abitudine perdono il senso di meraviglia che chi viene da fuori riesce ancora ad avere.

Di questo e altro ho parlato con Marco, che ho avuto il piacere di intervistare e che mi ha anche consigliato un bel tour perfetto per chi, come me, Milano la vive solo pochi giorni all’anno.

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Ciao Marco, parli con un non-milanese che ancora non ha capito se Milano gli piace oppure no, ma che è sicuro che non ci andrebbe mai ad abitare.

All’inizio pensavo anche io che non ci sarei mai andato ad abitare, ma col tempo mi sono ricreduto.

Da quanto sei lì?

Dal 2011.
Ma ci ho messo veramente poco a ricredermi.

Immagino che avrai conosciuto milanesi e milanesi d’adozione che, pure, non hanno ancora capito del tutto se amarla o meno, questa città…

Più milanesi d’adozione che milanesi DOC. Ho notato che per tutti il legame con la città si sviluppa col tempo, non è una città che si fa amare fin da subito, devi viverla ed esplorarla.

L’idea della mostra è nata da lì? Dai sentimenti contrastanti tuoi e di chi sentivi parlare di Milano?

Esattamente. Ho voluto dare alle persone un nuovo motivo per guardare diversamente ciò che adesso non gli piace o a cui comunque sono talmente abituati da non dargli più troppo conto.

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Credi che l’essere nato “fuori”, in provincia, possa aiutare a trovare il bello di Milano?
Pure io sono nato in provincia, in un paesello, e sono sempre stato convinto che lo sguardo esterno — la meraviglia, in positivo o in negativo — di chi è alieno sia fondamentale per capire un luogo, o quanto meno per trovarne degli angoli, degli elementi che sfuggono a chi se li trova davanti tutti i giorni.

Hai risposto già tu perfettamente alla domanda. Venendo dal Salento più estremo, visivamente Milano (dall’architettura fino al colore della luce quando “sbatte” contro i palazzi) ha rappresentato una novità, ma non mi ha destabilizzato troppo. Ho sempre vissuto male il mio vivere in provincia e ho sempre cercato la città, quindi arrivando a Milano ho cominciato a muovermi nell’ambiente che desideravo da tempo, il mio habitat naturale.

Come hai lavorato al progetto? È nato prima il concept e poi sei andato peregrinando in giro per la città in cerca d’ispirazione o semplicemente hai raccolto idee che ti giravano in testa da tempo?

È stato qualcosa che è maturato negli anni. Non sapevo se farlo sfociare in una pubblicazione o in un progetto più strutturato, investendoci tempo e risorse: alla fine ho scelto di lavorare sulla mostra. Di solito mi lego molto ai luoghi in cui vivo e sento quasi la necessità di celebrarli in qualche modo (a Firenze con una t-shirt, con un poster prima di andare a New York).
Con Greetings from Milano celebro la città in cui ho trovato la mia dimensione.

E tecnicamente, come hai lavorato alle opere?

Diversamente dai lavori che faccio di solito per la mia professione, per questo evento non ho lavorato in digitale, ma ho prodotto degli acrilici su legno, più quattro piccole opere in acrilico su carta.

Immagino che il passaggio dal digitale all’analogico non sia stato traumatico vista la tua passione per il writing!

L’avevo solo messa in “stand by” infatti…

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Il tuo stile è riconosciuto per la rara capacità di semplificare concetti anche complessi con l’utilizzo di pochi elementi, addirittura di icone.
Come hai fatto a “ridurre a icona” una realtà urbanistica, umana, culturale, emotiva come Milano?

Mi sono soffermato solamente su ciò che colpiva di più la mia sensibilità, anche sugli stereotipi “pop” (simboli e icone riconosciuti). Alcuni sono miti che voglio sfatare.

Tipo?

Uno degli argomenti su cui mi focalizzo è la gigantesca controversia milanese sulla la Torre Velasca. Tutti pensano sia brutta, io invece me la sono tatuata sul polpaccio.

Addirittura tatuata!
Tornano alle opere e allo stile: tu hai una formazione che viene anche dal lettering e dalla tipografia, discipline capaci di raccontare una storia attraverso minime variazioni. Credi che ti abbiano aiutato a definire il tuo stile anche come illustratore?

Alcuni esperimenti di tipografia, come quelli di Wim Crouwel, mi hanno sicuramente influenzato, rafforzando le mie capacità di sintesi e astrazione. Però in generale le skills che ho appreso formandomi in quel campo le applico maggiormente ad altri progetti che porto avanti parallelamente alla mia attività di illustratore.

So che per la mostra hai anche preparato due sculture. È la prima volta che ti cimenti col “3D”?

[Ride, ndr] In realtà non sono due vere e proprie sculture, ma dei pannelli sagomati alti due metri. Però sono laureato in Design Industriale quindi la terza dimensione non è un problema.

animazione Riccardo Albertini

Visto che sei un milanese-adottivo romanticamente attaccato alla tua città ti chiedo qualche consiglio per la mia prossima trasferta milanese. Dove mi porteresti per un ipotetico tour di Milano by Marco Goran Romano?

Colazione da Giusy che fa dei centrifugati da paura, in mattinata un salto da Patricia Armocida e shopping culturale da Spazio B**K, pranzo da Burger Wave per provare l’hamburger con guacamole e carne d’agnello; pomeriggio passeggiata con Gaia (il mio pitbull da appartamento) sui Navigli, poi aperitivo al Rita (da provare il Ginger Zen), cena da Poporoya (il primo giapponese in città) e fine serata alla Bocciofila Montevideo per un amaro e una partita alle bocce meneghine.

Poi quando vengo mi ci porti davvero a fare il tour!

Daje!

Qualche giorno fa sei stato al Creativity Day e su twitter ho letto che il tuo talk è stato uno dei migliori.

Ho cercato di mettere il pubblico a proprio agio, creando un rapporto dialogico. Penso sia stata una buona idea.

Dai tweet sembra proprio di sì…
Credo saranno stati in molti, ad ascoltarti, quelli che vorrebbero fare il tuoi lavoro. In Italia, con l’illustrazione, è difficile camparci. Tu come fai?

Senza peli sulla lingua: mi faccio il culo. [Ride, ndr] Se vuoi una risposta più politically correct, eccola: è un insieme di fattori. La promozione non è la risposta, bisogna avere pensiero laterale, saper lavorare per analogie, associazioni d’immagini. Questo ti rende un illustratore che funziona e lavora, altrimenti sei solo “stile”.

Ultimissima: dovessi usare le parole, invece delle immagini, per una cartolina da Milano. Che scriveresti?

Ouch, tosta! Un attimo, il copywriting non è il mio mestiere.
[Marco si prende un attimo poi butta giù il capolavoro, ndr] Ok, ce l’ho: «Il grigio è un colore bellissimo».
Perché Milano sarà pure grigia, ma s’intona con le mie scarpe.

* * *

Greetings from Milano
QUANDO: 11 — 18 ottobre 2014
OPENING: 11 ottobre | 18,00 — 22,00
DOVE: Spazio Vogh | via Voghera 6, Milano | mappa | fb

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