Luxury Brands (il matrimonio della Jessica e il vestito con le mongolfiere)

Finalmente arrivò l’invito per il matrimonio della Jessica, se non arrivava sarebbe scoppiata dalla rabbia e adesso, che era arrivato, ne doveva affrontare le conseguenze. Ne parlava con suo marito grattando la pergamena rustica dell’invito con l’unghia del mignolo, sapendo che quel rumore lo innervosiva. Nel frattempo il piccolo guardava con il naso appoggiato al televisore la Peppa Pig, che con i suoi grugniti faceva da sottofondo alla loro conversazione.

Certo adesso bisognava pensare alla cerimonia, a cominciare dalla lista nozze — «guarda caso, nel negozio più caro e più pretenzioso della città», malignò subito, come del resto altre sue amiche.
Una che dopo cinque anni di convivenza scaldava solo robe al microonde cosa se ne sarebbe fatta dell’attrezzatura da Master Chef? Poi il pensiero corse subito alle cose da risolvere, per primo vestire il marito: dopo il matrimonio aveva messo su quei sei chili che avevano di fatto reso inservibile tutto il guardaroba “storico”.
Il bimbo l’avrebbero lasciato dai suoceri, e poi doveva pensare per se stessa.

Suo marito suggerì una delle due catene della moda low cost presenti in città, lei rispose indispettita «piuttosto mi do malata!», quindi raccolse il pargolo che protestava ed andò a letto.
Il sabato seguente convinse il marito riottoso ad accompagnarla in centro per un giro di ispezione.
Dopo aver scartato due negozi dove le commesse, preso atto del suo budget, diventavano simpatiche come Angela Merkel, affrontarono il terzo. Quello con un nome prestigioso e con scritto sotto l’insegna e in tutti i posti possibili “luxury brands”.

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La commessa italiana con abbronzatura etiope li accolse con un sorriso già tirato di suo e reso ancora più improbabile dalle labbra botulinate e laccate con un rossetto alla nitro. Dopo pochi convenevoli sbrigativi, informata della richiesta, disse con un fare complice: «ho qui per te, cara, una cosina giustissima». L’abitino era appeso in mezzo ad altri con attaccapanni personalizzati, solo quello proposto aveva un appendino neutro.

Provò a toccare un altro capo e la signora le sussurrò, con un tono che appariva come un velato rimprovero, «lì cara siamo su altre cifre…».
Un po’ mortificata entrò nel camerino e si infilò l’abito con la stampa delle mongolfiere, uscì e la proprietaria del negozio, guardandola distrattamente, le disse «ma sei un amore cara!».

Fercò lo sguardo del marito, con le braccia conserte, e lui la guardò e alzò il sopracciglio.
Pensava ai sandali da abbinare. I colori erano tanti e non avrebbe avuto problemi ad abbinarlo con qualche cosa che già aveva a casa.
Sempre con il sorriso tirato la signora disse: «vuoi vedere qualche altra cosina?». Lei fece cenno di no.
«Allora dai, vieni, che ti accompagno alla cassa».
Alla cassa, con fare ruffiano, incassò i 199 Euro e disse che al matrimonio avrebbe fatto un figurone.

Con suo marito fece la strada in silenzio. Arrivata a casa aprì il nastro di raso che chiudeva il pacchetto con su stampato “luxury brands” e distese il vestito sul letto. Le cuciture non gli sembravano poi così dritte.
Guardò nella parte dietro al collo cercando di capire a quale “luxury brands” appartenesse il vestito e non trovò nessuna etichetta.
Pensò che i matrimoni sono una bella rogna per chi ha i soldi contati.
E provò un vago senso di colpa per i 199 Euro già spesi.

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Passò più di una settimana e la data del matrimonio di Jessica si avvicinava. Alcuni giorni prima del matrimonio, una sua collega di ufficio, insieme alla Jessica, gli fece vedere il giornale locale, commentando una notizia: «guarda che storia!». Era distratta, non aveva seguito il racconto. Lo sguardo però gli scivolo nella foto sotto il titolo. Cosa ci faceva il suo vestito con le mongolfiere sul giornale?

Lesse la storia che raccontava di un’altra malcapitata che aveva acquistato il suo stesso abitino a 199 Euro e una volta arrivata a casa si era accorta che c’era una etichetta con un numero di partita IVA e un indirizzo: c.so Stati Uniti, Padova e un Made in China. Attraverso il numero di partita IVA venne fuori il nome del grossista cinese. Guardò su Google e gli venne fuori l’immagine del centro grossisti di corso Stati Uniti. Raccontò poi alla giornalista di essere andata in macchina fino dal grossista e di avergli mostrato la foto dell’abito. Il cinese lo aveva riconosciuto subito.
«Sì, sì quello con le mongolfiere».
Chiese il prezzo: 8 Eulo.

Lesse la notizia, le venne subito un fitta allo stomaco. Con le colleghe fece finta di niente. Oltre ai soldi buttati e a non avere un abito per il matrimonio doveva sorbirsi pure il sarcasmo del marito.
La storia è vera. Il centro dei grossisti cinesi è lì. Tutti si sono finti scandalizzati ma è una bella risorsa per commercianti pigri e… (aggiungete voi un aggettivo a piacere).

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Finora abbiamo parlato di imbrogli, di truffe da parte produttori del Made in Italy. Oggi abbiamo cominciato con un caso che riguarda la distribuzione.
Formalmente la luxury commerciante non ha commesso nessun reato (visto che le figure di merda al momento non lo sono), ha solo fatto una cosa scorretta, dannosa per i suoi clienti e per i suoi colleghi commercianti che rischiano di passare tutti per ladri.

Non è comunque l’unica a barare. Questi trucchi li stanno facendo molti negozi monomarca. Tentano questa strada per salvarsi, infilano prodotti di infima qualità in mezzo alle firme (che talvolta non hanno un livello di qualità di molto superiore). Altri, oltre a questa pratica, si alimentano con i prodotti comprati dal mercato parallelo. Il meccanismo è questo: acquistano dal canale ufficiale del brand di turno 100 capi e poi li mescolavano con altri 200 Made in Napoly.

I negozi monomarca, se ci avete fatto caso, sono diminuiti di molto. Infatti il gioco è stato scoperto ed è stata tolta la licenza di distribuzione a molti. Stupiva infatti il tenore di vita di questi commercianti: mega-yacht a Jesolo e casa a Cortina.
La notizia delle revoche delle licenze di esclusiva non è stata divulgata per non fare ulteriori danni di immagine alle marche, ma girava comunque già da tempo tra gli addetti ai lavori.

Pensare che una volta, uno di questi, l’ho avuto vicino di ombrellone. Guardava con una certa insofferenza i marocchini che passavano tra gli ombrelloni con le borse griffate false. Sarebbe stato più leale da parte sua se li avesse chiamati colleghi.

Tornando al matrimonio della Jessica: l’abito con le mongolfiere non fece molta strada! Dall’armadio al cassonetto della Caritas.
Per il matrimonio sopraggiunse una provvidenziale ondata di orecchioni all’asilo e la famigliola rimase a casa a guardare la Peppa Pig… grunf grunf.
Il marito, guardando la famiglia sul divano sotto la coperta, ebbe un piccolo moto di commozione. Per soffocarlo aprì il mobile bar e preparò per sé e la moglie un cocktail Cavalli.

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