Viviamo nell’era dei dati. Tutto viene misurato, organizzato, messo a confronto, trasformato in grafico e utilizzato a scopi commerciali, politici, sociali, militari, scientifici, didattici, d’informazione. In un mondo di numeri “che parlano”, e che raccontano di noi ogni cosa — dal tasso di disoccupazione alla tendenza al suicidio, passando per temi solitamente affidati alle parole più che alle cifre, come l’amore, la felicità, la nostalgia — il modo di presentarli, questi dati, la cosiddetta “infografica”, è diventato più che mai fondamentale.
Si possono raccontare i dati coi grafici, certo, ma anche con l’illustrazione, la fotografia, la stampa 3D, la moda…
E a quanto pare pure con la cucina, come dimostra Data Cuisine, progetto lanciato tre anni fa da un maestro dell’information design come Moritz Stefaner insieme alla curatrice Susanne Jaschko, che hanno organizzato una serie di workshop (finora due, uno ad Helsinki e uno, qualche giorno fa, a Barcellona, ma stanno cercando altri luoghi dove portare avanti l’iniziativa) dedicati proprio alla visualizzazione dei dati attraverso il cibo.
E il tasso di disoccupazione diventa un fetta di pane e pomodoro, la percentuale di uomini o donne che fanno sesso al primo appuntamento una serie di noodle solitari o intrecciati, la frequenza di rapporti sessuali dei single rispetto alle coppie una serie di fagottini colorati, quantità e destinazione dei giovani emigrati spagnoli viene rappresentata da un pesce e l’immigrazione in Finlandia da un’insalata…
È il caso di dire: mangia e impara!
foto via Data Cusine
fonte Fast Company Design