Bic e l’alfabeto universale

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Di solito verso i 3 o 4 anni, durante la scuola per l’infanzia, si inizia a riempire i fogli di “bastoncini”, cercando di imitare linee, cerchi e farfalle stilizzate, di rifare forme via via sempre più complesse, di unire i puntini seguendo una direzione prestabilita: tutti esercizi che rientrano in quello che in didattica si chiama pregrafismo, cioè l’insieme di attività indispensabili per la coordinazione occhio-mano e la percezione dello spazio, propedeutiche alla scrittura.

È per esercizio e imitazione, dunque, oltre che per le caratteristiche fisiche di ciascuno e per la personalità — che attraverso la scrittura (lasciando da parte quella pseudo-scienza che è la grafologia, che di “scientifico” non niente in più dell’astrologia…) tradurrà in segni le sensazioni, i pensieri, il ritmo — è così che pian piano sviluppiamo la nostra grafia, capace di evolversi col tempo ma senza mai mutare radicalmente (tranne che per l’intervento di qualche patologia) e comunque sempre unica: non esistono infatti due scritture uguali, neppure quelle dei gemelli identici (c’è addirittura uno studio del 2008, pubblicato su una rivista di scienze forensi, che dimostra come i gemelli identici abbiano sì una grafia simile, generalmente più somigliante rispetto ai gemelli eterozigoti e ancora di più rispetto ai non gemelli, ma mai identica).

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Anche considerando il solo alfabeto latino — il nostro, ABC — sul nostro pianeta attualmente ci sono miliardi di grafie differenti. Studiarle tutte ovviamente è impossibile ma la Bic, l’azienda francese della celebre penna a sfera, ha lanciato un sito — the universal typeface — per provare a campionare il maggior numero di esempi possibili di grafia, chiedendo ai visitatori di tracciare almeno cinque lettere dell’alfabeto (ovviamente meglio farlo su un dispositivo touch, per evitare le distorsioni del mouse) e poi, attraverso un apposito software, creando una sorta di “carattere universale” attraverso la media dei campioni analizzati.

Nel momento in cui scrivo sono quasi 220.000 i caratteri scritti a mano archiviati, provenienti da ben 71 Paesi differenti.
Sul sito tra l’altro si possono persino “esplorare” per genere, età, nazione, “mano” (destra o mancina) e settore lavorativo, per scoprire ad esempio che differenza c’è tra la F di un artigiano e quella di chi si occupa di finanza, o tra la G degli indonesiani e quella dei francesi.

E se molti di quelli che hanno “prestato virtualmente la mano” per l’esperimento sono rimasti anonimi, alcuni, scegliendo di linkare il sito al proprio profilo facebook, sono visibili: mentre le varie lettere scorrono sullo schermo puoi vedere per qualche istante nomi e volti associati a un segno, giusto accanto al “grafema medio”, l’utopico carattere universale, in costante mutazione, che Bic, dopo aver prodotto miliardi di penne a sfera, sta cercando.

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co-fondatore e direttore
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