Oƨ_are

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Il mio prof. di educazione tecnica delle medie adorava i maglioni di ciniglia, i pantaloni di velluto a coste e i calzettoni di lana cascanti. Portava cappotti grigi o marroni oversize con cui andava a completare una palette autunnale che sdoganava fino in piena estate e che spaziava dal color melograno al verde camo. Lui amava arrivare a scuola a piedi o in bicicletta, il mattino di buon ora. E si trattava di almeno 6 o 7 chilometri tutti in salita, spesso al freddo, varcando le porte blu della piccola scuola in cima alla collina piuttosto spompato ma con una piccola riserva di energie tale da permettergli di vergare il registro di classe con una gigantesca firma piena di arzigogoli, che gli portava via più di un minuto di orologio.

Piuttosto miope, aveva grossi e spessi occhiali grigi—lo stesso colore dei baffi—“modello nonna”, più una variante tartaruga da sole con le lenti affumicate. Dopo la firma, rumorosa per via dei solchi che lasciava sulla carta, in un silenzio irreale, ficcava il naso nel registro, controllava la data, si rendeva conto in che classe era, si alzava e diceva solenne: «Buongiorno». Finché non arrivava risposta—e doveva essere sonora quanto basta, né troppo né troppo poco—se ne stava lì in piedi a guardare il muro in fondo alla classe. Quando finalmente si rimetteva a sedere, dopo la sua quotidiana lezione di pazienza a un gruppo di scalmanati pre-adolescenti—riusciva a tenerci così, silenziosi e in piedi, per interi minuti—altrettanto solennemente ordinava «Seduti» e con un gesto plateale si aggiustava le maniche della giacca. A quel punto e solo a quel punto noi alunni avevamo finalmente il permesso di parlargli.

All’epoca sembrava soltanto ridicolo ma a pensarci bene, col senno di poi, il mio prof. era un pre-hipster. E un maker: amava il legno, s’illuminava quando parlava degli attrezzi. Te lo immaginavi costruire strani apparecchi vestito di tutto punto nel suo capanno.
Era pure un po’ nerd. Impazziva per i grafi ad albero. Ce ne faceva fare continuamente, su ogni cosa. Pensava che il mondo intero si potesse riassumere con un grafo ad albero.

A pensarci bene forse era davvero soltanto ridicolo. Ma sarebbe impazzito per i papillon di Oƨ_are, nuovissimo marchio italiano fondato dal designer Angelo Ciaccia, che li realizza artigianalmente.
Sono sicuro che il prof. ne avrebbe indossato uno nelle occasioni speciali (tipo quella volta, alla fine dell’anno scolastico, che venne a scuola vestito con una specie di smoking e nessuno seppe mai il perché).

Lui amava i lavoretti in legno semplici semplici. Una volta ci fece realizzare una targhetta in compensato come compito a casa. Io chiamai alcuni miei amici, quelli più esperti di me, e insieme passammo un pomeriggio a segare, trapanare, limare, scartavetrare e scrivere nomi coi trasferelli nel garage del mio bisnonno, che aveva lo stesso identico odore del prof. (il garage, non il mio bisnonno).

Il mattino successivo, dopo la firma, il «Buongiorno» e le maniche tirate su, ci mise i voti. Io presi C. Fui il peggiore tra quelli con cui avevo lavorato al pomeriggio. Ero un gran secchione all’epoca. Roba da venti A e passa. E rosicai.
Ma che volevi dirgli a un prof. come lui? Non potevi che aspettare che mettesse una firma sul quaderno, proprio sotto al grafo ad albero che spiegava tutto il procedimento necessario a costruire la targhetta in legno, e tornartene al posto. Magari accennando due passetti di danza senza farti vedere, ma solo quando indossava il farfallino.

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