Issues | Pinholet

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Nel panorama delle nuove riviste indipendenti, oltre ai macro-temi più facilmente riconoscibili come il cibo e il vino (Dispensa, Fuet, Noble Rot, Brother Journal, Alquimie, Remedy Quarterly, Cherry Bombe, Sweets & Bitters, The Gourmand, Cereal, Meatpaper, Alla Carta, Fugu, Taste, tbsp., Gather Journal, Diner Journal, The Runcible Spoon, Hot Rum Cow, Acquired Taste, Put A Egg On It) l’eros (Adult, Momma Tried, Extra Extra, Odiseo, Darius, L’Imparfaite, Gypsé Eyes, Beauty Today, Baron, Irène, Tissue) lo sport (Thin White Line, Howler, Victory, The Blizzard, The Green Soccer Journal) e quelli per addetti ai lavori e focalizzati su un mestiere in particolare (programmatori e web-designer: Offscreen, The Manual e Digest; architetti: Clog, Midcentury, T-R-E-M-O-R-S, Mas Context, Too Much e City Vision; giardinieri e agricoltori: Wilder Quarterly e Modern Farmer; persino chi un mestiere ce l’ha ma solo “a tempo”, come i precari: Intern; e se fare il padre è un mestiere ce ne sono due pure per loro: Kindling e Offspriing) c’è pure una tendenza più sottile ma che trovo tra le più interessanti e soprattutto tra quelle che potenzialmente potrebbero offrire più spazi senza temere troppo la concorrenza—la selva di link qua sopra ti fa immediatamente capire che aprire un magazine erotico, culinario o a tema architettonico, oggi, è quanto meno un azzardo, e la lista che ho fatto non è certamente esaustiva.

Mi riferisco a tutte quelle riviste che puntano sul fattore local, dal generale (South as a state of mind, che parla dello “spirito del Sud”) al particolare (come Boat, in cui a ogni uscita l’intera redazione si sposta in una nazione differente e lavora con la gente del posto alla realizzazione del volume, o Local Magazine, che dedica ogni numero a una città diversa, preferibilmente piccola e sconosciuta, fino a Chalet in cui una città viene esplorata dalla sella di una bici) o addirittura al particolarissimo (quelli di Flaneur fanno un’intera rivista su una sola via!).

Stringere il cerchio, dunque. O meglio ancora stringerselo attorno (Google dopotutto ci ha basato un intero social network—di relativo successo, d’accordo—sulle cerchie), e celebrare l’insieme, l’unione, attraverso un magazine, come fanno già da un paio di anni quelli di Kinfolk e come hanno iniziato a fare ora i francesi di Pinholet, rivista che vive nel punto d’intersezione tra l’arte, il viaggio e la collaborazione tra simili, e che realizza ogni singola uscita all’interno di una comunità di artisti locali che condividono intenti e visioni.
Il primo numero, che verrà pubblicato a metà novembre, è tutto su Hong Kong.

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