The Art Of Denim | intervista a No Curves

Sabato scorso sono entrato per la prima volta in un outlet. Il Barberino Designer Outlet per la precisione. Che per chi non guida, come me, significa due treni e uno strappo in furgone, ma in compenso un panorama mozzafiato. E per chi arriva in macchina un panorama mozzafiato e basta, senza i treni in ritardo e senza strappi.

Su invito degli amici di PICAME ho partecipato alla terza tappa di The Art Of Denim (le altre due le hanno già raccontate i ragazzi di Collater.al e di Bobos), progetto nato per portare l’arte all’interno di un luogo pensato e costruito per gli acquisti, com’è un designer outlet. Lì ho avuto l’onore di assistere dal vivo alla performance di No Curves (che puoi seguire anche su Facebook e Instagram) che, per chi non lo conoscesse, è uno dei pochi artisti a livello mondiale ad avere la capacità di tirar fuori opere d’arte da rotoli di nastro adesivo.

Di primo mattino, mentre la piazza dov’era stata istallata l’enorme tela di 7mq iniziava a riempirsi di gente, ho trovato No Curves già al lavoro, occhiali scuri sul naso, intento a tirare linee immerso nel tipico schreech del nastro. Non avrebbe smesso fino a sera, tirando fuori dal nulla, a colpi di rette e tagli di lametta, il ritratto di Marlon Brando, nella celebre foto scattata sul set de Il selvaggio, film culto del ’53.
Mentre il sole saliva e scendeva mi sono piazzato accanto a lui e l’ho riempito di domande. E se non sono tornato a casa con un pezzo di scotch a mo’ di bavaglio è perché No Curves è disponibile tanto quanto bravo.

Partiamo dalle solite domande istituzionali. Da quando hai iniziato a usare il nastro adesivo per le tue opere?

Saranno almeno sette anni credo. Le prime cose le ho fatte in maniera un po’ casuale, provando a realizzare anche dei graffiti col nastro adesivo. Però il tipo di risultato non mi piaceva e mi sembrava pure di andare a disturbare dentro a un ambito che—avendo degli amici che fanno i graffitisti da una vita—considero molto puro e che vorrei rimanesse puro, almeno da quel punto di vista.
Poi ho iniziato a intervenire su oggetti trovati in giro o manifesti pubblicitari. Lo facevo come una sorta di critica, lavorando sui concetti, ad esempio intervenendo sulle modelle delle campagne pubblicitarie.

Intervenendo come?

Prendi le pubblicità, i cartelloni che “girano”. Io stavo ben attento a quando andavano a cambiare il rullo e quando mettevano una pubblicità nuova andavo a intervenire col nastro bianco sul pannello retroilluminato. Se ad esempio sul manifesto c’era una modella troppo magra io la rendevo ancora più magra. Ce n’era, al contrario, una molto procace? Allora la trasformavo in infermiera sexy.

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E di “commenti” di stampo politico nei hai mai fatti?

No. Non è nelle mie corde. C’è gente molto brava che lo fa ma—come dire—non è il mio campo. Non ero di quei tipi che pianificano, che studiano il messaggio o l’effetto che potrebbero fare sulla gente che li vede. Andavo di getto, sul momento.

In un’altra tua intervista dicevi che a livello mondiale voi artisti che lavorate col nastro adesivo avete iniziato più o meno tutti nello stesso periodo.

È vero. Siamo anche quasi tutti della stessa generazione, sulla trentina e oltre. Ti faccio un esempio: Buff Diss, artista australiano, quindi dall’altra parte del mondo. Io e lui ci siamo “scoperti” a vicenda dopo aver visto i rispettivi lavori. Abbiamo vite completamente diverse, un passato completamente diverso ma in realtà, concettualmente, per quanto riguarda l’idea di linea, abbiamo iniziato entrambi in maniera molto simile.

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“Era nell’aria”, come si suol dire.

Ci siamo incontrati per la prima volta a casa mia. Lui è venuto in Europa, è sceso a Milano, è stato ospite da me e siamo diventati amici. Però la cosa che stupiva tutti era appunto che entrambi avessimo iniziato nello stesso periodo, in maniera simile—lui più “street” ma con la stessa idea in testa—pur se molto diversi e provenienti da parti del mondo lontanissime tra loro. E senza saper nulla l’uno dell’altro, per giunta.

Quanti sono adesso in tutto il mondo a lavorare col nastro adesivo?

Che hanno uno stile personale e riconoscibile, una manciata di persone. La domanda da farsi è: «perché lo fai? Perché lo fanno gli altri e pensi di diventar famoso o perché senti la necessità, l’urgenza di farlo?»

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A proposito di urgenza: prima mi hai detto che nelle tue prime opere non pianificavi. Ora invece lo fai?

Lo faccio da punto di vista strutturale, delle geometrie, della composizione, ma non come concetto.
Un tempo andavo in giro in macchina con gli amici, vedevo un manifesto, mi fermavo e ci lavoravo sopra.

Come nasce quindi oggi una tua opera? Non mi riferisco ai lavori su commissione ma a quelli personali, come ad esempio la mostra Top of the lines, presso Avantgarden Gallery, di cui tanto si è parlato.

Ecco quella ad esempio è stata una cosa molto strutturata. Ho realizzato ritratti di personaggi che mi hanno influenzato, che mi hanno dato delle idee—che non è detto, ci tengo a sottolinearlo, mi abbiano dato idee positive…

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Ho notato che proprio in quella mostra i protagonisti dei ritratti (Fabio Novembre, Philippe Starck, Stanley Kubrick, Gio Ponti, Antoni Gaudì, Katsuhiro Ōtomo, Bruno Munari, Ettore Sottsass, Fortunato Depero e Le Corbusier) erano soprattutto designer e architetti.

Perché sono persone che lavorano con le geometrie, con strutture anche gigantesche e che quindi mi affascinano.

Per The Art Of Denim stai realizzando una gigantografia di Marlon Brando. È la famosa foto presa da Il selvaggio. Come mai Brando? Qual era la consegna che hai avuto quando sei stato chiamato a far parte del progetto?

Sono un grandissimo appassionato di cinema, ma questo lo sapevi già…

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Aspetta perché ora devo spiegare ai lettori. Io e te ci conosciamo oggi dal vivo per la prima volta ma è da un po’ che chiacchieriamo su Facebook, soprattutto di fantascienza.
Vai pure avanti.

Dicevo che oltre ad essere appassionato di cinema sono un grandissimo fan del pantalone in denim. Quindi della comodità. E le prime idee che ho avuto per questo progetto sono nate proprio dall’unione tra cinema e denim quindi James Dean, Marlon Brando, Paul Newman, i personaggi legati all’iconografia della ribellione, della libertà.
Poi mettici il fatto che da più di un anno realizzo in gran parte ritratti…

Come mai se arrivato solo recentemente al ritratto?

Perché sono stato totalmente preso dall’idea di riuscire a rappresentare attraverso le mie geometrie i tratti caratteristici di un personaggio. Le rughe, i lineamenti.
Prima non ero molto interessato a tutto questo. Ma la mia è una sorta di esplorazione.

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Rimaniamo su Brando. Che tipo di lavoro ci hai fatto sopra?

Ho cercato un po’ di immagini. Ne ho scelta una e sono intervenuto su quella. Quando devo far vedere a un cliente la mia idea, prima di realizzarla faccio una bozza digitale. Traccio linee. La tecnica, in digitale, è esattamente la stessa che nel reale: tirare linee, sovrapporre strati. Quindi faccio quel che farei dal vivo. Poi alla fine stampo.

Però, ed è da un po’ che ti osservo, la stampa di prova che hai fatto la stai usando pochissimo.

Perché dal vivo, sul campo, lavoro sempre “a braccio”, d’istinto, soprattutto per quel che riguarda il colore. Mi accorgo ad esempio che voglio dare più movimento all’immagine e allora uso toni diversi dello stesso colore, o texture diverse. O magari vedo che posso semplificare ulteriormente e quindi evito di tracciare alcune linee mentre però ne aggiungo altre.
Alla fine il pezzo, dal vivo, è sempre più bello del progetto. Perché poi quando sei sul posto devi tener conto della luce, del supporto su cui stai lavorando. È come pitturare.

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C’è una domanda, un po’ alla Marzullo, che è da un po’ che voglio farti. Ho visto diversi tuoi lavori, tra cui ad esempio quelli realizzati per Top of the lines, dove il nastro esce fuori dal supporto. In quel caso la “tela” era in plexiglass e le linee sconfinavano. Questa cosa mi ha molto intrigato. L’ho letta come una prosecuzione naturale di quel che tu hai realizzato all’interno del quadro. Le linee, per definizione, sono infinite e dunque è giusto e naturale che se ne escano da lì.

Esatto.

Ma poi però mi sono anche chiesto: ma davvero? Oppure al contraio stanno entrando? In quest’ultimo caso sei tu che concettualmente vai a prenderle da fuori, dalla natura, e le trasformi in un’opera.
[Ndr: ride e gli si illumina la sguardo ma capisco che non vuole rispondere fino in fondo e forse è meglio così: spiegare tutto significa mortificare l’esperienza dello spettatore. Dice solo] le linee che escono sono più importanti degli stessi ritratti.

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Vedo una valigia piena di rotoli. Quanti colori ci sono? Sei limitato, nel tuo lavoro, dai tipi di nastro adesivo?

Assolutamente no. Il catalogo è infinito. La Tesa, che è la più importante azienda a livello mondiale del settore, dopo aver visto il mio lavoro, ha deciso di sponsorizzarmi e la scelta che ho è enorme. Molti dei nastri che utilizzo sono per uso industriale e spesso hanno un colore piuttosto che un altro per motivi ben precisi. Ad esempio quelli fluo vengono utilizzati soprattutto nell’ambito dei concerti, per i cavi.
Alcuni funzionano in un certo modo a determinate temperature e sono usati soprattutto nell’industria chimica.

Con gli anni sarai diventato un esperto in materia.

Non proprio un esperto ma per forza di cose ne so abbastanza per poter dare qualche consulenza. È capitato che delle gallerie d’arte mi abbiano chiesto una consulenza nel momento in cui avevano problemi con l’istallazione di alcune opere. Quindi non una consulenza come artista ma come artigiano.

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Tu ti senti anche artigiano oltre che artista?

In un mondo che passa sempre di più attraverso uno schermo sono sempre più motivato a lavorare in maniera manuale. A me tutta questa cosa del “fare”, con le mani, dopo tanti anni davanti a un computer, ha cambiato la vita.

[No Curves prende il mano la stampata del progetto poi guarda l’opera in fieri, studia la luce. Il cielo si sta rannuvolando. Intanto manipoli di bambini, a spasso coi genitori per l’outlet, si avvicinano a curiosare e chiedere. I “grandi” sono più restii a far domande ma non ce n’è uno che non si fermi a guardare. In molti tirano fuori il telefono e scattano una foto. Qualcuno si accorge che il ritratto di Marlon Brando che sta rapidamente prendendo forma sull’enorme tela in realtà è fatto di scotch solo quando sente il tipico rumore acuto, stridente e appiccicoso del nastro.
La stampata torna al suo posto sopra al palco, in mezzo a rotoli sparsi qua e là e piccoli cumuli di nastro che continuano ad attaccarmisi sotto alle scarpe.
No Curves decide di improvvisare rispetto al progetto iniziale e dice] ho deciso di dare un po’ di movimento qui quindi vado a pescare un nastro dello stesso colore, ma lucido invece di opaco. La luce è importante. Lavorare all’interno o all’esterno è diverso. Bisogna tenerne conto.

Qui stai lavorando su un fondo bianco e piatto. Sul plexiglass, invece, come hai lavorato?

Grazie alla trasparenza del plexiglass puoi creare una sorta di architettura, di illusione di prospettiva, operando strato su strato.

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Vedo che il nastro, una volta attaccato, riesci comunque a staccarlo facilmente. Hai quindi la possibilità di fare il classico “control-z”, come sul computer.

No, niente control-z. Una volta che ho deciso dove tirare la linea posso sì aggiustarla o staccarne un pezzo per cambiare l’effetto ma non faccio avanti e indietro, non lavoro attraverso un percorso prova-errore-prova.
Capita [lo sta facendo proprio nel momento in cui ne parla] che un pezzo di nastro già attaccato serva come fonte di materiale per altre linee, che taglio via da quella che ho già fatto, dunque la tela diventa in un certo senso anche una tavolozza.

Il tuo immaginario da dove arriva? Di cosa “ti nutri” a livello culturale?

Come ho detto sono un gran appassionato di cinema. E come sai soprattutto di fantascienza. È un genere che ha una potenza narrativa tale da metterti di fronte a tuoi limiti. Sia come essere umano che come uomo, quindi ai limiti che hai ogni giorno, nella tua vita quotidiana.
È un genere che parlando dell’altrove parla in maniera intima di te stesso.
Ma anche a livello formale, ricordo che da ragazzino ero affascinato dalle astronavi giganti, dalle loro geometrie, tutti quei particolari sulla superficie, i moduli, gli strati… Sono cose che ti fanno ragionare su ciò che potresti costruire tu.

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[Iniziamo a parlare di cinema. Col faccione di Brando davanti ovviamente finiamo per parlare di lui, dei suoi film, soprattutto di Apocalypse Now. Arriviamo a Cuore di tenebra di Joseph Conrad, da cui il film è liberamente tratto]

Anche lì, in Cuore di tenebra, c’è il fiume che è una linea, un confine.
Che poi la gente mi collega sempre al mondo dell’arte urbana quando in realtà gli input sono tantissimi. L’architettura brutalista, le sculture slave, russe, il suprematismo… Le “pippe mentali” vengono da lontano.

A un certo punto cominci a notare i collegamenti, fai attenzione a certe cose a cui prima non facevi caso e inizi ad accumulare informazioni, che all’inizio sembrano casuali ma che poi acquistano un senso man mano che vai avanti.

Infatti. Ma dopo aver accumulato inizi a semplificare.

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I ritratti che hai realizzato nell’ultimo anno sono frutto di questa semplificazione?

Sì, ma la semplificazione la pratico anche al momento, non solo in fase di studio. C’è una cosa che fa sempre sorridere tutti quando la racconto: io sono molto miope e quando guardo qualcosa da lontano, senza occhiali, stringo gli occhi e vedo già le chiazze di colore, cosa che ovviamente mi aiuta molto in quello che faccio. In questo modo noto subito se ho fatto un errore.

La natura in qualche modo ti ha aiutato.

Da vicino, con gli occhiali, noti meno la struttura generale, perché quello che vedi è troppo distinto. Ti perdi nei dettagli.

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Tra i ritratti che hai realizzato per Top of the lines c’era quello di Antoni Gaudí. Il grande architetto catalano disse una volta: «la linea retta è la linea degli uomini, quella curva la linea di Dio»
E tu sei No Curves.

Come nome d’arte ho scelto No Curves sia perché con il nastro sono obbligato a tirare linee rette, sia perché pure fisicamente sono davvero poco rotondo.
A proposito di Gaudí, passo molto tempo a Barcellona. Barcellona è la città delle curve per eccellenza.

Prossimi lavori?

Ho diversi lavori commerciali che usciranno prossimamente ed un progetto personale, un progetto sulle metropoli. Le linee del nastro che ne invadono gli spazi, invasive come un virus, però viste dal punto di vista della natura. Un controsenso. Ci sto pensando da tempo e ho iniziato a lavorarci su.

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