Favole della buonanotte 1: l’animale che non si poteva dire

Favole della buonanotte 1: l’animale che non si poteva dire

È il 2009 quando incontro il mio editore a Torino in occasione di una manifestazione.
Due settimane prima gli avevo spedito una storia di cui non mi ha ancora detto nulla.
Non appena mi vede si avvicina e mi dice “Ho letto la tua storia, ma non ti ho detto niente, perché volevo vederti di persona e darti questo”.
Quindi mi bacia sulla guancia e aggiunge “È il libro più bello che tu abbia mai scritto”.
Inizia con queste parole la storia di un libro maledetto.

Esistono libri maledetti? Penso di sì.
So per certo che esistono film maledetti, impossibili da terminare. Ne sapeva qualcosa Fellini che per Il viaggio di Mastorna, cominciato a più riprese e mai portato a termine, si fece fare causa dal suo produttore.
Ma come lui molti altri. Certi film sono impossibili da girare perché tutto sul set va male, o addirittura impossibili da scrivere.
Per finire la Dalia Azzurra per la Paramount la leggenda di Hollywood vuole che Raymond Chandler si fosse chiuso in casa e scrivesse solo strafatto di alcol. Il mito vuole anche che durante le settimane che ci vollero per ultimare la stesura due cadillac rimasero parcheggiate fuori da casa sua: una per portare i fogli dattiloscritti alla produzione, l’altra per portarlo in ospedale se si fosse sentito male.

Fare libri per bambini non è la stesa cosa che lavorare a Hollywood, ma tutti si immaginano questo lavoro molto più roseo e molto più semplice di quello che è.
Invece è complicato e l’ambiente professionale è pieno di stronzi, di mitomani, di truffatori, di improvvisati e di ninfette in cerca di ribalta.
Ma può, un libro per bambini, essere così maledetto?
Non lo so, ma un film maledetto di solito comincia male da subito. Questo libro invece è cominciato benissimo. L’editor disse che non avrebbe cambiato neanche una riga, cosa mai successa prima, visto che i precedenti libri erano stati il prodotto di un editing piuttosto estenuante.
Questo volta no, il testo era perfetto.

L’illustratore che abbiamo scelto si mette subito all’opera e ci manda il suo storyboard. Penso che il mio sia più bello, più descrittivo: dove lui cerca di esprimere con più forza i sentimenti io preferirei che si vedesse un po’ più di ambientazione. Ma è comunque molto bello.
Le premesse sono decisamente quelle del capolavoro.
Le prime tavole definitive e la copertina sono molto incoraggianti. Poi tutto si ferma.
Passano diversi mesi e ancora adesso non so dire con precisione in che momento tutto si blocca. Quel che so è che dopo aver presentato il libro alla Fiera di Francoforte e poi a quella di Bologna decine di editori si erano prenotati per la co-edizione.
Ma dopo due anni chiunque si spazientisce e le possibili co-edizioni sono svanite.

Mi ritrovo a ottobre 2011 ospite a casa dell’illustratore e cercare di capire cosa ne è stato del libro. Sembra che sia in crisi per via della malattia di sua madre, mi dice che l’editore, del tutto insensibile, pretende che il libro sia finito. Scoprirò poi che sua madre sta sì molto male, ma lui si è bloccato prima. Solo conoscendolo meglio nell’arco delle due settimane ne capirò il motivo.
Mi mostra le tavole su cui stava lavorando e non c’è una sola finita: vedo solo un ammasso di pezzettini sparsi, prove di acquerello, pezzi di personaggio, mani, piedi, che poi dovrebbero, magicamente ricomposte con Photoshop, produrre le tavole definitive.

È come se avesse prima disegnato le matite delle tavole, poi le avesse smontate e stesse pitturando ogni singolo pezzo di un puzzle che poi ricomposto darà come risultato le tavole come se le era immaginate nello storyboard.
È un lavoro da psicopatico.
Il tempo stimato per finirlo penso sia incalcolabile. Potrebbero volerci uno, tre o dieci anni. Mentre mi rendo conto di come stanno le cose, lui mi mostra orgoglioso un dettaglio microscopico della copertina.
È il pelo dell’animale protagonista.
Dopo aver steso l’acquerello ci ha disegnato sopra i peli, uno per uno, spessi un micron.

Il problema è che con il pelo non si fanno i libri. Ci vogliono le tavole finite.
Ecco perché si è bloccato. Non è capace di finire il libro, perché passa giornate intere a curare dettagli inutili e cercando il modo migliore di rendere un effetto che poi sul libro nemmeno si vedrà. E mentre lo fa cambia idea sullo stile, gli viene in mente che forse potrebbe disegnare tutto in modo diverso.
E infatti questo stile non lo soddisfa più. È indeciso se procedere ad acquerello, ma in modo diverso oppure lasciare la matita e lavorare direttamente su quella, perché in questo modo andrebbe avanti molto più veloce.
Mentre ragiona su come velocizzare il lavoro, non fa nulla da mesi.

Ne passeranno parecchi senza che il nostro amico disegni un solo pelo ma quando le tavole arriveranno non avranno nulla a che vedere con quelle vecchie, né con uno dei due stili di cui mi aveva parlato in ottobre.
Quindi siamo al quarto stile diverso che ci propina.
Anche il personaggio è cambiato. Ha gli occhi rossi ed è tutt’altro che rassicurante.
Dopo una discussione con l’editore e un altro mese di vuoto, il personaggio torna guardabile, ma ormai lo stile delle vecchie tavole è andato.

È il momento in cui dico: fermiamoci adesso. È andata male, ogni tanto va male e bisogna essere capaci di ammetterlo e di accettarlo. Pazienza, faremo dell’altro.
Avremmo dovuto fermarci per non perdere il rispetto reciproco e soprattutto l’amicizia.
Invece no.
Mi dicono che dobbiamo andare avanti.
Il libro ormai è quasi finito.

Perdo il conto di quanti mesi passino ancora. Io sono in Australia e ogni tanto mi arrivano pallide notizie. A un certo punto, durante l’estate, la madre dell’illustratore si aggrava.
E non ce la fa.
È un momento triste. Francamente al libro nemmeno penso più. Penso che sia definitivamente andato. Del resto davanti alle tragedie ti senti obbligato a ridimensionare le cose. Ed è giusto così.
Ci sono cose più importanti.
È finita.

Dopo qualche tempo però, cominciano ad arrivare nuove tavole.
Non capisco. Il libro non lo avevamo abbandonato?
Pare di no. L’illustratore lo vuole finire.
Arrivano altre tavole che sembrano disegnate con la mano sinistra. L’editore non dice nulla, vuole arrivare alla fine, poi semmai correggeremo qualcosa, dice.
Ma alla fine, tranne qualche dettaglio risibile, non correggeremo nulla.
E non chiederemo all’illustratore di rifare le tavole che considero inadatte a completare un libro che ne ha alcune molto belle, perché sarebbe una fatica immane per lui calarsi nuovamente in quel libro che lo ha fatto tanto soffrire e che ormai associa alla malattia di sua madre.

Ma allora perché non abbiamo lasciato perdere tutto, cazzo?
Perché non si può. Propongo all’editore di coprire di tasca mia le spese base. Gli offro 4.500€. Li recupererò rifacendo il libro a modo mio, altrove, con qualcun altro.
La risposta è no. Il libro deve uscire.
Passa quasi un altro anno prima che il libro vada in stampa, con le tavole che ci sono e con un titolo diverso da quello che gli avevo dato.
L’editore mi dice che è per scaramanzia. Non capisco di cosa stia parlando.
Scaramanzia di cosa? Cosa possiamo rovinare che non sia già fottuto?

Dopo quattro anni di lavoro il libro esce ed è molto distante dalle mie aspettative.
Ne ho autorizzato la pubblicazione perché l’editore dice che diversamente avrei messo in pericolo la casa editrice. Non so se sia vero. E non so se il libro avrà mai successo né se mai ci ripagherà del tempo e della fatica che ci abbiamo messo a finirlo in modo comunque mediocre.
Ma credo di no.

Quello che so è che ci è costato un’amicizia decennale. Perché io dopo questo libro non voglio più vedere nessuna delle persone coinvolte.
Qualcuno potrebbe dire: “In fondo è solo un libro”.
Ed è vero.
Ma se è così allora perché non lasciare perdere quando era il momento?
Perché tanta ostinazione?
Abbiamo continuato a lavorarci come ossessionati, come quelli che non riescono a smettere di infilare monetine nella slot machine, convinti che il giro buono, quello che li ripagherà di tutto, sia lì vicino.

Mi ricordo l’editore che un giorno mi disse: “Guai a te se pronunci anche solo il nome dell’animale in giro. Questo libro deve essere una sorpresa”.
Beh, una sorpresa lo è stata. Questo è fuori da ogni dubbio.
Una vera sorpresa.

editorialista
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