A Punk Prayer

Sulle Pussy Riot si è detto di tutto e di più. E quando ogni singolo giornale, tv, sito d’informazione, cassiera del supermercato e Roberto Saviano uniscono le forze per trasformare un caso politico in una mascherata da boxino morboso e da pagina di costume, il buon senso di capirci davvero qualcosa e di approfondire la questione spesso lascia il passo alla noia del cinico, che va su twitter a rifugiarsi su qualche altro argomento a cui prestare attenzione su cui tirar fuori sagaci malignità, o all’insano sguardo acquoso di chi si accontenta di qualche didascalia o vago commento sotto a straripanti gallerie piene di immagini—complice la bella presenza delle arrestate e dunque, per gli italici parametri, buone per far spettacolo.

Davanti al tono compiaciuto, agli sguardi ammiccanti, all’approccio paternalistico e alle inesattezze dei media sul fenomeno Pussy Riot anche io mi sono arreso, preferendo di volta in volta cambiare canale, girare pagina, cliccare da qualche altra parte—pure la pubblicità della Nivea—pur di zompare a pié pari l’ennesima occasione di venire disinformato.
Ed è qua che entrano in scena i saggi e i documentari. Quelli fatti bene, ovviamente. Che sopperiscono alle carenze di chi per mestiere dovrebbe esporre i fatti nel modo più completo possibile ma che poi si perde dietro ai dettagli come la traduzione di pussy o gli occhioni di una delle arrestate.

Di saggi sull’argomento non ne conosco (né, confesso, andrei a leggermene uno) ma giusto ieri è uscito sul canale via cavo americano HBO, A Punk Prayer, il documentario sulle Pussy Riot diretto da Michael Lerner—che fa il documentarista da vent’anni ed ha prodotto Afghan Star, capolavoro nominato agli Oscar che segue le storie di quattro afgani che partecipano ad una sorta di X Factor locale (che esiste davvero)—e dal filmmaker russo Maxim Pozdorovkin.

In A Punk Prayer, che si è portato a casa uno dei premi speciali della giuria durante l’ultimo Sundance Festival, dove ha debuttato, Lerner e Pozdorovkin seguono per sei mesi la storia di Nadia, Masha e Katia, le tre attiviste membre del collettivo Pussy Riot arrestate dopo una performace in una chiesa ortodossa di Mosca e condannate al carcere. Il documentario—che in questi giorni sarà anche proiettato a Bologna in occasione del Biografilm Festival—mostra filmati inediti della preparazione delle performance, interviste a parenti, attivisti e fondamentalisti ortodossi, offrendo un piccolo spaccato della Russia di Putin. Niente di davvero rivoluzionario e trascendentale (almeno a giudicare da una recensione come questa), ma sempre meglio dei commenti degli opinionisti e della star dell’infotainment del pomeriggio.

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