How can design recharge our city? | The WYE e Konzept86

Coi suoi tipici mattoncini rossi, il numero 86 di Skalitzer Straße, a Kreuzberg, è un palazzone in stile modernista come ce ne sono molti in zona. Nato come ufficio postale, simbolo dello statalismo della DDR, dopo la caduta del muro subì lo stesso destino di tanti edifici di Berlino Est [su sacrosanta segnalazione di un lettore correggo e m’incenso il capo: non di DDR si trattava, ndr], restò vuoto ed inutilizzato per anni, prima che una gallerista – Leah Stuhltrager – decidesse di convertirlo a centro per le arti e co-working e con l’aiuto di tutta una serie di giovani realtà, riuscisse in soli cinque mesi di lavori (realizzati da volontari e senza chiedere un euro di finanziamenti pubblici) a trasformarlo in The WYE, uno spazio di 20.000mq su cinque piani dove da appena qualche mese lavorano (e a volte convivono) artisti, studi creativi, agenzie, musicisti, società di produzione oltre ad una libreria ed enormi open-space per feste, presentazioni ed eventi.

Che si tratti di un luogo fuori dal comune lo intuisci dalla lunga targa all’ingresso, un’ininterrotta sfilza di “studio”,”creative”,”agency” che sembra preannunciare il labirinto di corridoi, scale e porte che si aprono su uffici di ogni tipo. C’e chi ha addirittura il suo spazio in quello che era un bagno…

Mentre esploro la struttura con i miei compagni di viaggio, durante il tour berlinese in bici elettrica, mi accorgo che The WYE ospita addirittura un concept store che, oltre a vendere capi ed accessori di fashion designers emergenti di tutto il mondo, funge anche da showroom e press agency.

Si chiama Konzept86 e – come tutto in questa fantastica città – è un open-space, è aperto da poco, è gestito da giovanissimi e soprattutto ti fa chiedere a te stesso, per l’ennesima volta, che cavolo ci stai a fare ancora in Italia.
E difatti il ragazzo che mi mostra le collezioni è italiano, di Milano, ma me ne accorgo solo mentre provo a fargli una piccola intervista, quasi saltandogli addosso per “accaparrarmelo” io, vista l’agguerrita concorrenza dei miei compagni di viaggio-blogger e visti soprattutto i tempi stretti a disposizione.

Faccio la mia prima domanda in inglese ma Nicolò – così si chiama, Nicolò Montanari – mi interrompe subito e, rassicurante, dice: «Possiamo parlare italiano se vuoi!»

Grande! Dunque, ti stavo dicendo che in Italia è difficilissimo per i piccoli marchi, pure per quelli di indiscutibile talento, riuscire ad emergere. Com’è la situazione qui a Berlino?

Qui a Berlino c’è tanto talento, una scena davvero incredibile ma in realtà anche qua è difficile che poi le persone comprino le creazioni dei designers emergenti.
Il nostro progetto è dare un luogo fisico, dove possano esporre e vendere direttamente al pubblico.
Abbiamo notato che c’è un ritorno al prodotto – non so come definirlo – un po’ speciale, nuovo, interessante. E i nostri designers sono così.

Sono convinto che il sistema Fiera non funzioni, non più, non come in passato almeno.

Molti dei designers che abbiamo o con cui siamo entrati in contatto hanno fatto Capsule, Tranöi ma come dici tu l’idea di partecipare alle grandi fiere non è più molto gettonata.
Noi difatti organizziamo showroom un po’ più piccoli. Contattiamo direttamente i buyers e la stampa. Offriamo un pacchetto completo ai nostri designers, che sono comunque piuttosto sperimentali quindi abbiamo ad esempio buyers che arrivano dal Giappone, o da Singapore.
Con i buyers europei il discorso è diverso: c’è molta competizione e tendiamo a collaborare con quelli un po’ speciali.

Avete una rete di negozi di fiducia, immagino.

Sì, ma non si può aspettare che siano loro a venire da te. Bisogna prendere appuntamenti, andare direttamente nei negozi, presentare il prodotto, instaurare un rapporto di fiducia.
Ad esempio durante la fashion week berlinese abbiamo un sales agent che si occupa proprio di quello, cercando negozi che siano sulla stessa lunghezza d’onda dei marchi che rappresentiamo.
Ma lavoriamo anche molto durante gli eventi. In quei casi vendiamo direttamente al pubblico.
Ad ogni modo, rispetto a mercati come l’Italia o la Francia qua le cose funzionano meglio per i marchi emergenti.

Geograficamente qui a Berlino c’è “la zona degli showroom” (come può esserci a Milano) oppure sono sparsi in tutta la città?

Tantissimi si trovano a Mitte, ma le cose si stanno un po’ muovendo e anche Kreuzberg è diventato un punto caldo.

(Guardandomi attorno noto dei capi che riconosco immediatamente). Ma quelli sono di Ida!

Ida Ruggiero, sì, il marchio si chiama Mimì Factory. Lei è molto brava.

Non dirlo a me… è un’amica oltre che collaboratrice da lungo tempo di Frizzifrizzi.

Ma ormai Nicolò se n’è andato, fisicamente preso e portato via per un’altra micro-intervista.
Prima che rapiscano anche me e mi rimettano sopra alla ebike per proseguire verso la seconda tappa del tour, riesco a scattare qualche foto, nel contempo immaginando una qualche possibilità di aprire, prima o poi, una vera redazione di Frizzifrizzi in uno spazio come quello.

La puntata precedente:
Berlino in sella ad una smart ebike

For english speaking people: here is a post about The Wye on Bettery Magazine, written by Joe Peach

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