
Io sì, lo conosco bene. Tu non so, ma forse dovresti e ora ti spiego perché. Il Bocs lo conosco perché è una creazione di due miei amici: non aspettarti quindi che io sia imparziale, nessuno lo è mai, non illuderti. L’importante è dirlo subito.
Il BOCS, Box of contemporary space, è un posto che, se fosse stato a Roma o Milano (figuriamoci a Londra), avrebbe avuto un seguito di sponsor disposto a sostenerlo e invece è a Catania. E sta chiudendo. Forse, però, se fosse stato a Milano o a Roma non sarebbe il posto che è: un run artist space grezzo, un rettangolo di cemento, senza intonaco, senza rifiniture, dove artisti nazionali e internazionali vengono invitati ad interagire con lo spazio interno e spesso esterno e a creare – dopo un periodo di residenza – la propria opera. Il tutto non in centro città, o nelle vie bene di Catania. No, il tutto ha luogo in una viuzza di un quartiere povero, che di nome fa Angeli Custodi, senza servizi, senza diritti, senza nulla, dove spesso e volentieri il tuo vicino spaccia o è agli arresti domiciliari. Nessun film girato qui, solo vita reale. Poi, una volta ogni due mesi circa, dal 2008, la saracinesca (sì, proprio quella dei garage di una volta) si apre e c’è sempre qualcosa che ti lascia un minimo perplesso: delle campane appese lungo uno dei 4 muri, un paracadute appallottolato e posto in tensione, una serra che prende lo spazio intero a disposizione e molto altro ancora. E’ arte contemporanea, quella che i più chic&stupid dicono «ah, potevo farlo io», quella che di contro i chic&radical dicono «eh, ma se non hai studiato non la capisci».

Arte contemporanea. E il Bocs porta avanti questo discorso in un deserto cultural-artistico che non è solo metaforico, ma concreto. Dunque chiude perché il sostegno delle istituzioni, almeno da queste parti, vuol dire conoscere qualcuno nel palazzo, qualcuno che poi deve venire all’inaugurazione, dire le sue belle parole con la bella faccia di culo e andare via, magari borbottando «ah, potevo farlo io». I privati? Qualcuno negli anni ha sostenuto il progetto, ma non c’è proprio la cultura, da parte di aziende locali, a sostenere esperienze come queste che, specifico, sono molto apprezzate: ad ogni inaugurazione sala piena, la stampa (specializzata e non) ne ha scritto sempre bene, inviti per collaborazioni che arrivano da varie parti d’Italia e non solo, e molti altri segnali che confermano la giusta direzione intrapresa.
E allora? Che si può fare? Beh, prima di tutto conoscere il Bocs, conoscere Giuseppe Lana e Claudio Cocuzza: sono loro il BOCS. E poi sostenerlo. In due modi concretissimi. Il primo è facendo una donazione libera: 1,10,100€? Non ha importanza: qualunque somma andrà bene e aiuterà a non far sentire solo il Bocs. Il secondo modo è invece acquistare LABORATORIO HABITAT un’opera di Marco Scifo che prevede una tua azione. In tiratura limitata, solo 100 pezzi disponibili al costo di 100€, quindi un impegno maggiore.
E poi, ci sarebbe una terza via, ma non è proprio per te che stai leggendo, lettore. E’ per una o due aziende “del nord” (per noi siciliani il nord inizia dopo lo Stretto): diventa sponsor del Bocs, hai tanta visibilità e costa veramente poco.
Chiudo rispondendo alla domanda che ti sta frullando in testa: perché io che sono di Udine, Cuneo, Reggio Calabria dovrei sostenere il Bocs che sta a Catania?
La risposta è a sua volta domanda, a te scegliere come risponderti. Se un domani ci fosse un Bocs nella tua città e rischiasse di chiudere, ti farebbe piacere che qualcuno da qualche parte d’Italia donando qualche spicciolo riuscisse a tenerlo in vita in nome di un’esigenza, di una “inutilità” come quella dell’arte contemporanea?