Il covo romano per gli sneakers-maniaci: Beaverton

Mi piacciono le sneakers. A dirla tutta le porto quasi ogni giorno. Di volta in volta ne “adotto” un paio e tendo a tenerlo a piedi il più possibile, adattando tutto il resto del mio look in funzione di quello, consumandolo fino ad annoiarmici sopra, per poi passare ad altro. A pensarci bene potrebbe essere il riassunto della mia vita, la metafora più calzante.
Ma c’è chi per un paio di sneakers farebbe follie, collezionandone decine (o centinaia!) di modelli, spesso senza mai indossarli perché la collezione perfetta, dopotutto, è fatta di cimeli intatti.

Ho deciso di intervistare un esperto che però prima di tutto è un amico: Fabrizio De Lucia.
Fabrizio quasi tre anni fa ha aperto il suo tempio delle sneakers a Roma, nel quartiere Monti. Beaverton, così si chiama il suo negozio, è una chicca da non perdere sia per gli appassionati che per i profani come me, gestito da uno che la street culture la vive da anni, prima come semplice appassionato poi come pioniere del mondo dei media online in campo streetwear con il suo Providermag, primo blog italiano a trattare l’argomento.
Oggi Fabrizio si divide tra la rete e il bancone del negozio e, sebbene preferisca tenere ben separate le due attività, da qualunque parte lo guardi lui di sneakers ne sa. Eccome.

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Chi è Fabrizio De Lucia?

Così a freddo? Mi aspettavo prima un “che hai fatto nel weekend?”…

Che hai fatto nel weekend?

No meglio che torniamo alla prima domanda…non è che me lo ricordo perfettamente :)
Non me lo sono mai chiesto e tanto meno me l’ha chiesto qualcuno. Mi viene da dirti uno appassionato della vita e delle novità. Nato 28 anni fa e cresciuto a Roma, sono 9 anni ormai che mangio streetwear quotidianamente a volte in maniera eccessiva. Editor, fotografo, dj solo in versione spring/summer, appassionato di musica, electro in particolare, mi piacciono i fatti e non mi piacciono le troppe parole, le persone che credono nel rispetto e quelle che vengono a ballare il martedì sera. Mi piace lavorare, mi annoio a stare troppo tempo fermo.

Ma quando nasce il Fabrizio De Lucia che conosco io?

Il Fabrizio che conosci tu in realtà esiste da sempre. Proprio in questi giorni riflettevo sul mio passato e mi sono ricordato di come fin dai tempi delle medie avessi quest’ossessione per l’abbigliamento ed un certo perfezionismo nel combinare i vestiti che mi compravano. Poi circa otto anni fa sono entrato in contatto con il mondo dello streetwear.
Ci sono arrivato passando dalla musica. Internet ed i blog erano agli albori. Iniziai a frequentare alcuni dei negozi storici di Roma, gestiti da figure che sul territorio hanno fatto la storia dello streetwear. Mi appassionai alle loro storie, a quello che raccontavano.

Qualche nome?

Uno su tutti: Simone “Be Cool”. Lo chiamano tutti così.
E’ stato uno di quelli che attraverso i suoi racconti di vita vissuta e di prodotto mi faceva venire la voglia, appena tornato a casa, di cercare e verificare quello che mi diceva.
La cosa bella era che ci io ci aggiungevo le ore di ricerca su internet e quindi ampliavo le sue informazioni storiche con le notizie più attuali.[/wpcol_1half] [wpcol_1half_end id=”” class=”” style=””]

Quindi gran ricerche notturne, immagino, e poi gran chiacchierate.
Provider è nato da lì?

Provider è nato lì si. E mettici pure un altro punto di riferimento enorme: Pharell Williams. E’ stato una figura ispiratrice per anni.
E’ iniziato tutto perché cercavo le Nike Dunk dei N.E.R.D. Da lì in poi mi si è aperto un mondo e da lì sono iniziate le conversazioni con Simone, come ti dicevo, e la fissa per le sneakers.
I racconti delle file fuori dai negozi, le aste online, i fake di Nike SB e quelle di Bape, che in Italia erano introvabili.
A parlarne ora con te mi sembra ieri, ed invece di tempo ne è passato. Credo che tu possa capirmi… erano gli anni di Freshcut [il blog dedicato ai giovani artisti con cui ho cominciato la mia “carriera”, n.d.r].

Ahahah sì! Ci sentivamo tutti un po’ dentro al futuro, no?
C’è stata una testata online che ti ha fatto decidere, definitivamente, “io mi faccio un blog”?

Più che sentirti nel futuro credo sia la voglia di cambiamento che ti porta a lanciarti.
L’idea del blog non è nata grazie a una testata online ma da insieme di elementi.
Primo: il fatto che in Italia non ne parlava praticamente nessuno di streetwear. Siamo nel 2005. A qui tempi ero un lettore di Pig, che era all’apice. Mi trasmetteva entusiasmo e mi ha sicuramente influenzato.
Ma vogliamo parlare di Beaverton o di Provider?[/wpcol_1half_end]
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Di Beaverton ma prima voglio conoscere le radici!

Sì però non amo mischiare troppo le due cose…

E com’era la scena street romana in quegli anni? Intendo vista oggi con gli occhi di un addetto ai lavori che da cliente e appassionato è passato dall’altra parte della barricata.

Meglio di oggi. Era il periodo in cui i brand streetwear erano in piena esplosione sul territorio e la tipologia di negozi altrettanto. In tantissimi vestivano quei brand, dal “pischello” al trentenne, perché era la moda del momento.
Quando cercavi una grafica di Stüssy, bastava prendere il motorino e farti un giro di negozi e quasi sicuramente la trovavi. Oggi è scomparso quasi tutto. Alcuni negozi non hanno retto e hanno chiuso, altri sono cambiati com’è cambiata la moda. Il motivo? L’Italia è un Paese in cui questa cultura non ha mai attecchito più di tanto. Ci piace prendere le culture altrui, usarle per un po’ finché funzionano, e poi cestinarle. Non trovi?
Ecco perché ho aperto Beaverton.[/wpcol_1half] [wpcol_1half_end id=”” class=”” style=””]

Quindi Beaverton è un po’ il tuo tempio, nato per diffondere “il verbo”.

Esatto, mi sono sempre detto che il problema non era la gente, ma il modo con cui queste persone venivano a contatto con la cultura street.
Roma, come tante altre città italiane, ha degli appassionati. Che potrebbero essere sempre di più se avessero un punto d’aggregazione e qualcuno che gli racconta con passione il prodotto che comprano.

Nel tuo negozio è proprio questa l’aria che si respira.
Entri e si vede che dietro il bancone c’è uno che sa quel che dice e sa quel che vende, abituato a vederne un milione per poi fare una selezione ragionata ed offrirti quello che secondo lui è il meglio, compreso il piccolo “museo” che hai lì – guardare ma non toccare – e che ti fa sognare.

Ecco perché tre anni fa abbiamo alzato la serranda insieme ad Andrea Sibaldi, mio ex-socio ed un altro dei motivi che mi ha spinto ad iniziare quest’avventura.[/wpcol_1half_end]
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Il nome Beaverton: già quello è una specie di faro per chi conosce la storia dello streetwear [Beaverton è il nome della cittadina dell’Oregon dove ha sede Nike, n.d.r.].
Come mai l’hai scelto? E ci sei mai stato in Oregon?

Siamo stai mesi a discutere sul nome del negozio. Io dicevo una cosa e Andrea un’altra. Sulla lista delle opzioni c’era Beaverton, rischioso, perché legato a un’azienda, quella che entrambi amiamo di più, pur essendo un’informazione che di solito solo gli appassionati sanno. E visto che il negozio è nato sopratutto per i non appassionati, abbiamo osato.
In Oregon per il momento non ci sono mai stato ma spero di andarci proprio per visitare i luoghi dov’è nato il mito.

Immagino quindi “visite virtuali” con google maps…
[Ride] sì ogni tanto. Ma sai, più che con la città in sé, il legame con Nike è più su quel concetto di cui parlavi prima, del museo, della rarità, del pezzo da collezione introvabile.
Mi ha sempre entusiasmato l’idea della fila fuori da un negozio per possedere un paio di sneakers. Ne devi fare una per capire di cosa parlo.

Infatti proprio da te, in negozio, sentivo di aste su eBay, nottate passate di fronte al (forse) irraggiungibile oggetto del desiderio, a fare offerte, a sognare.
Spiegami questo “mondo” di appassionati hardcore che da fuori potrebbero sembrare solo fanatici ma che, immagino, racconti di più sulla scena streetwear che mille comunicati stampa che arrivano da oltreoceano o pubblicità fighissime che passano in tv.

Quello che consiglio sempre a chi vuole avvicinarsi a questo mondo è di vedersi Just For Kicks il film documentario del 2005 di Thibaut de Longeville.
Lo puoi trovare anche su youtube, diviso in più parti.[/wpcol_1half] [wpcol_1half_end id=”” class=”” style=””]

Bella segnalazione!

Le sneaker sono e saranno sempre un elemento di distinzione e personificazione anche se non te la metti. Con gli anni 80 l’esplosione dell’hip-hop, della cultura di strada, di Michael Jordan, e della nascita di alcune icone pop, il processo si è messo in moto spinto delle volte in maniera nemmeno così forte dalle aziende e dalle loro campagne di adv. Chi non avrebbe voluto saltare come Jordan, o ballare come uno dei breakers che vedevi su MTV Yo-Raps. Pensa anche agli Hooligans. Non ti viene in mente un paio di adidas?
Come ti dicevo nel documentario che ti citavo, si parla di come anche i lacci, le loro dimensioni e la posizione fossero importanti per identificarti ed esprimere il tuo stile. Questo è infatti uno dei ruoli principale della sneakers. Raccontare in prima battuta che sei.
Ognuno di questi gruppi sociali e culturali ha fatto di una sneaker uno stendardo. Le aziende involontariamente seguendo il processo hanno tolto dal mercato modelli, cambiato città di produzione. Ecco allora la ricerca dell’originale quello che delle volte nemmeno l’azienda stessa possiede più.
Negli ultimi anni poi sulla base delle forti richieste di prodotto, sapendo mixare anche altri contenuti, come musica, arte, e moda sono nate le collaborazioni e le limited edition..e lì apriti cielo, e portafoglio. Una richiesta così alta che ha fatto nascere il mondo dei fake.
Per farti capire quello di cui ti parlo prova ad indossare una limited edition di Nike per esempio, prodotta in 500 esemplari in tutto il mondo che è un pò come indossare un Rolex. Magari in Italia se te la metti risulta poco, ma stai sicuro che se ti azzardi a camminare per certe strade del mondo o certi eventi con un qualcosa del genere ai piedi vedrai la reazione di parecchi, il sorriso, l’ammirazione di alcuni. Non mi dilungo sui miei aneddoti!

La tua collezione personale com’è? Quanti pezzi hai?

Ne ho circa 150 pezzi, tra quelli che metto e quelli che non metto. Punto ad averne poche ma di spessore. Non sono quel tipo di collezionista che compra tutto per aumentare la quantità e poter dire di possedere 2000 pezzi. Preferisco comprare in maniera oculata e poi fino a poco tempo fa non potevo permettermi di stare sempre lì a spendere pacchi di euro. E comunque mi piace comprare al prezzo originale.[/wpcol_1half_end]
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150 per un “comune mortale” come me non sono poche…
Per curiosità: dove le tieni, tutte?

Ci sono personaggi che vantano numeri stratosferici e che fanno impressione. E’ una droga. Hai addosso un’euforia difficile da spiegare quando riesci a portarti a casa quel paio di sneakers che sai che tu e altri pochi possedete.
Le tengo tutte in una stanza, a casa, inscatolate e custodite. E’ la stanza che sognavo da anni.

L’hai mai vista, dal vivo, qualche collezione davvero immensa?

No purtroppo no, ma mi piacerebbe. Però ammetto di essere piuttosto critico verso quelli che mi parlano di collezioni enormi. Anche davanti a un muro di sneakers mi metterei a guardarle una ad una per valutare effettivamente il valore delle collezione.
Un po’ come un gioielliere [ride].

Qualche chicca della tua collezione?

Le più “difficili” sono le Nike Yeezy, che ho in due delle tre colorazioni prodotte.
Poi le ultime Adidas in collaborazione con Bape. Le Adidas Superstar ’80s. New Balance per Staple in entrambi i colori. Reebok Ice Cream. Più tante altre.

La sneaker dei tuoi sogni proibiti?

Di “proibite” c’è ne sono tante, altro che una! La prima che dovrei forse rimettermi a cercare è quella che ti dicevo all’inizio dell’intervista, quella dei N.E.R.D.: 1000 pezzi in tutto il mondo. Ogni volta che la trovavo su eBay o il prezzo era altissimo o in quel momento non avevo comunque i soldi per comprarla (per farti capire parliamo di 400 € di scarpa).
Di recente è uscita la Nike Mag McFly, ispirata e dedicata a quella indossata da Michael J.Fox in Ritorno al Futuro. Qui parliamo di cifre che vanno dai 2000 € in su.[/wpcol_1half] [wpcol_1half_end id=”” class=”” style=””]

E quella più sottovalutata?

La prima cosa che mi viene in mente è lo special pack di Adidas Adicolor, quello in legno di qualche anno fa.

Sopravvalutata, invece?

D’impulso ti dico alcune uscite di Jordan. So già che molti storceranno il naso…
E’ che negli ultimi anni ne sono uscite tantissime, di sneakers in generale intendo. Veramente troppe. Molte sopravvalutate.
Ok adesso facciamo una collaborazione con Undefeated o con Supreme e allora sono belle, fighe, in limited edition e da collezione.
E invece no, cavolo. Il mondo della sneaker culture al quale mi sono appassionato era diverso: poche e studiate, con mesi di tira e molla di piccoli teaser e poi altrettanti mesi d’attesa.
L’attuale mania per la collaborazione si è spinta troppo oltre, per come la vedo io, e ho sempre più “cali d’amore”.

I blog, soprattutto streetwear, sono un’apoteosi di “marchioA x marchioB”…

Sì, è diventata la ricerca della formula matematica che ti fa vendere di più.
Per questo mi viene difficile dirti un solo nome, ti dovrei dire un annata [ride].
Però non hanno capito che i lettori o chi si approccia al mondo sneakers, oggi, in questo modo finisce per essere confuso. Finisci per non capirci più niente.[/wpcol_1half_end]
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Beaverton ha quasi tre anni. Aprire un negozio, o tenerlo senza gettare la spugna, oggi, è una sfida che non tutti riescono ad affrontare. Poi arriva quel qualcosa, magari solo un grazie di un cliente, una luce nel suo sguardo, e ti fa pensare che hai fatto bene a scommettere, a lottare…
Hai mai avuto un momento come questo?

Tutti i giorni. Questo periodo di crisi che sta colpendo il nostro paese è certamente il più sconsigliato per investire. Senza parlare di un’attività come questa, che dai difficoltà ne ha mille. Per fortuna, come dicevi, c’è quel sorriso o quel complimento che ti da la forza di rimanere in piedi a tutti i costi. Devi sapere che erano anni che volevo aprire un negozio e aprire un negozio di sneakers è stata la ciliegina sulla torta, anche perché a Roma fino ad oggi ancora nessuno aveva provato a farlo.
Quindi penso, sperando di non apparire uno che se la tira, che anche se domani dovessi andare a casa potrei sempre dire di essere stato il primo, quello che ha dato la spinta a farlo.

E roba strana capitata in negozio con i clienti?

Avoja. Da quelli che pensano di stare al mercato e che si lanciano in trattative per gli sconti, a quelli che sono convinti di saperne di più di te e insistono su ogni singola cosa, a quelli che ti vengono a chiedere senza farsi troppi problemi se secondo te un negozio del genere in un’altra zona di Roma potrebbe funzionare, perché loro abitano lì e vorrebbero provare ad aprirne uno, magari proprio uguale…

Facciamo finta che io sia un cliente. Ora entro da Beaverton. Che mi vendi?

Ti sei fatto ancora crescere la barba? Vieni qua che ci penso io e trovo la scarpa giusta.[/wpcol_1half] [wpcol_1half_end id=”” class=”” style=””]

[A quel punto Fabrizio inizia davvero a snocciolarmi nomi, marchi, sigle, modelli, colori. Se ci fosse bisogno di una conferma, eccola: ne sa.] Ti fermo e ti faccio l’ultima domanda. Non ti chiedo dove ti vedi e dove vedi Beaverton tra dieci anni perché credo che domande del genere portino sfiga. Ti chiedo, invece, come ti vedi adesso? Fai finta tu di entrare da Beaverton da cliente.

Beaverton oggi lo vedo come un paradiso, se sei fissato con le sneakers. In pochissimi metri quadrati “indipendenti”, non gestiti da una multinazionale, trovi diversi brand e soprattutto tante chicche. Lo vedo nell’espressione di quegli “addicted” italiani che arrivano a varcare la soglia del mio negozio.
Se non fosse mio ti assicuro che sarei un cliente alla velocità della luce. [Ride] e non lo dico perché è mio, eh!

Beaverton Store
via dei Serpenti 96, Roma | mappa
beavertonstore.com
t. +39 06 89.53.36.77
m. [email protected]
fb. facebook.com/BeavertonStore

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