The book is on the table | Stefano Fiz Bottura

Abbiamo deciso di affittare ad equo canone la nostra rubrica settimanale sui libri a persone che stimiamo chiedendo di raccontare il loro book is on the table, quello più importante, quello che ha lasciato un segno, quello che se la casa andasse a fuoco…

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Sessanta racconti
di Dino Buzzati
Mondadori-De Agostini Libri, 1986

Diciamolo subito, senza questo libro non sarei qui a scrivere questo pezzo e, probabilmente, non avrei fatto il 90% delle cose che ho fatto. Ne avrei fatte molte meno, e diversamente. Senza voler fare nessun monumento personale diciamo che Hemingway, Miller, Fitzgerald, o anche Picasso e Mattotti, per altri versi, sono arrivati dopo. E anche certa musica. Prima, all’inizio, ci sono Dino Buzzati e questi suoi Sessanta racconti.
Come?

Vengo da un posto dove quello che accade sembra accadere per caso – avete presente?
Ho 18 anni o giù di lì, adolescenza generica in un paese sull’Adda di 6000 anime, la Provincia, con tutto quello che ne consegue: noia, motorini, calcio, alcol&canne e totale disinteresse per libri&letteratura. Eppure, molte più cose ben più sorprendenti, vengono in visita, imprevedibili – direbbe qualcuno.

Trovo questo libro sotto l’albero di Natale, non è per me, era un regalo di mia sorella a mio padre. Lo prendo, inizio a sfogliarlo, non so come ne perchè inizio a leggerlo, in testa il pensiero ma come si fa a regalare un libro a qualcuno a Natale? – me lo ricordo ancora benissimo.
Mezz’ora dopo sono ancora li, sul divano, a leggere, mentre mia madre chiama che stanno arrivando i parenti per il pranzo. Saltano i concetti di tempo e spazio. Sono dentro al libro. In viaggio. Racconto dopo racconto e ogni racconto è diverso e appena ne finisci uno ne vuoi subito un altro. E non capisci né cosa ti succede ne dove sei finito. Ma non hai ne il tempo ne la voglia di fermarti a pensarci. Una folgorazione.

Prima di tutto lo scoprire che in quei parallelepipedi di carta poteva esserci/starci davvero così “tanta roba” (come avevano provato a insegnarti a scuola certo, ma con che credibilità?): storie, personaggi, immagini, colori. E senza nessuna spocchia intellettualoide, senza il nascondersi dietro pose o frasi difficili e inutili, senza ermetismi della minchia, senza proclami o sterili giri a vuoto di pensiero. Una fantasia creativa. Dirompente. Ecco, questo soprattutto mi strappa: che la fantasia, più in generale, poteva essere uno strumento stupendo e potentissimo. E a portata di mano (basta allenarsi, entrare in confidenza). E tutto diventa possibile. Tutto. Senza menate culturaloidi, senza pretese e soprattutto senza dover chiedere il permesso o l’approvazione di nessuno. Basta, semplicemente, Farlo. Come aveva fatto Buzzati in ognuno di quei 60 racconti (60! Tutti in un solo libro!): per il sottoscritto è la rivoluzione copernicana: mi sposta dal mondo del fruitore/consumatore distratto a quello del produttore diretto.

Buzzati sa bene che la creatività non è un giacimento che si esaurisce sfruttandolo, ma è come l’energia di una dinamo che si genera&rigenera con l’uso. E per questo non ha paura di scrivere 1 libro con 60 (!) idee /soggetti che altri avrebbero distillato/diluito in 60 libri. E’ questo che ti rapisce: la generosità e la densità e il coraggio con cui snocciola e comunica e condivide le sue storie. Senza nessuna vigliacca paura di restare a secco. Come fai a non restarne colpito? Anche a anni e libri letti di distanza. Come fai a non sentirti spronato a voler fare lo stesso? La semplicità del non perdersi in stronzate, ma riuscire a creare la Magia andando dritto al punto. E poi passare subito oltre.

Va così, dopo quel Natale, non ho più paura. Inizio a fare. Mi metto a scrivere (e poi a disegnare) in maniera più “convinta” e, soprattutto, cercando di dare un senso compiuto a quello che prima erano solo impressioni, pensieri, scarabocchi. Ovvero racconti/progetti con un inizio, una storia, un senso e, soprattutto, per renderli racconti/progetti compiuti: una fine. Cercando sempre di “comunicare” qualcosa. Per dire, il primo racconto che scrivo è un racconto lungo che parla della luna e di un complotto per distruggerla, una roba sdolcinata e sempliciotta, totalmente illeggibile, buona giusto per rimediare 2 baci gentili di incoraggiamento e qualche carezza in riva al fiume, ma va bene così, ormai l’orbita è segnata e la mia vita cambiata per sempre. Davvero. Grazie a questo libro.

Di questi Sessanta racconti mi sono sempre piaciuti oltre che il rigore formale, la scrittura asciutta in bilico tra il report giornalistico e la fiaba. E Buzzati è sempre stato un mago e un maestro nel confondere i 2 piani, racconto-articolo giornalistico, scostandosi da ogni accademia o pseudo-elite, felice di sporcarsi le mani con la vita, l’umanità e la cultura popolare. Ed è proprio per questo che mi sono sempre piaciute anche le ingenuità palesi, i temi fuori moda, gli svarioni romantici. E’ un libro comunque uscito, in prima edizione, nel 1958, nell’Italia del Boom, l’Italia dell’inubarmento e delle industrie, non fai fatica ad immaginarti perchè come sottofondo a questi racconti c’è sempre questa modernità disumanizzante vista con gli occhi semplici del provinciale, questa natura insieme vitale terribile insondabile, ma anche così salvifica.

Niente, mi commuovo sempre un po’ a ricordare cosa rappresenta per me questo libro (e quanto Buzzati è stato/è per me un modello tout court). Ovviamente è un libro che ho regalato spesso, altrettanto ovviamente e altrettanto spesso è un libro che ho “saccheggiato” a dovere. Per esempio, avete presente quando una ragazza, in uno di quei momenti di tenerezza e abbandono, appoggia la testa sul tuo petto chiude gli occhi e ti chiede: raccontami una storia. Ecco, i racconti brevi e poetici di Dino Buzzati son perfetti in situazioni del genere. La chiudo così.
(e penso proprio che Buzzati, che amava molto le donne come mi è stato raccontato, approverebbe sornione questa dritta finale, più che ogni possibile celebrazione o riconoscimento ufficiale).

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STEFANO FIZ BOTTURA

Stefano Fiz Bottura è nato e vive a Milano, ma è cresciuto a Vaprio d’Adda, in provincia, e questa cosa nel bene e nel male non gliela toglie nessuno.
Un passato da writer e parecchi muri e treni dipinti (ma erano gli anni ’90) e una laurea in Design al Politecnico di Milano. Oggi è direttore di ROCKIT. Ha inventato e organizza il MI AMI, uno tra i principali festival musicali in Italia. E’ stato uno dei colpevoli di Aiuola Dischi. È coautore con Matteo Remitti di Giovanni Lindo Ferretti: canzoni, preghiere, parole, opere, omissioni (Arcana, 2010). Con la sua Better Days fa anche il grafico (dopo aver lavorato con e per Universal Music France, Edizioni Zero, ENT design Paris, Artclair Edition Paris, Studio Manolibera Milano). Perchè non bastava ha deciso di iniziare una nuova matta avventura/progetto che è la GALLERIA DISASTRO. Ma soprattutto, ed è la cosa più importante: quando riesce va a pesca, disegna, gira in Vespa e cerca di prendere aerei e treni il più spesso possibile.

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