Millennium – Uomini che odiano le donne
di David Fincher
USA 2011
Il film di Fincher si apre con questa sequenza, che dovrebbe, e sottolineo dovrebbe, subito metterci addosso un certo spavento, dovrebbe essere una cosa che in inglese si dice frightening. Ma, oltre alla fotografia al catrame riuscita bene, dove sta la novità? Sono cose che la Sigismondi, Cunningham, lo stesso Tarsem (quello di ieri) facevano più di quindici anni fa (per certi versi non è che una versione aggiornata di questo). Per non parlare di Richard Serra e Matthew Barney. Per non parlare poi di certi performer ai rave primi anni ’90 (non che io ci sia mai stato ai rave anni ’90, io sono un uomo che odia i raver, pensa te).
Ecco, l’ennesima impersonificazione di questa tanto decantanta Lisbeth Salander regala esattamente la stessa identica sensazione che si prova leggendo i libri, e vedendo la noiosa trilogia originale: dove sarebbe la novità? No, per davvero. Spiegatemelo.
Non lo vedete lontano un miglio quando diavolo sia stereotipata “una hacker tutta strana piercing e tatuaggi perché oh! quelli coi tatuaggi so’ troppo strani! e la cresta nei capelli però la superintelligenza e il passato difficile che ne vuoi sapere tu che giudichi dall’alto del tuo SUV parcheggiato nel terrazzo all’ultimo piano del tuo attico?”.
E se c’è una cosa peggiore dello stereotipo, è lo stereotipo di un tempo andato.
Hackers, brutto film del 1995 di Iain Softley con Jonny Lee Miller e Angelina Jolie
Lisbeth Salander non solo è banale oggi come personaggio, ma è un banale personaggio uscito dritto dritto dal fottuto 1995. Fossimo stati nel 1995, allora sì avremmo detto “beh forte, una hacker cazzuta coi capelli strambi che fa delle robe assurde con il computer tipo intrufolarsi anche nella mail del presidente della Svezia” (→) e poi ci vedevamo il VHS de Il Tagliaerbe dicendo “madonna certo che la realtà virtuale che storia, finirà che faremo tutti all’amore con i guanti e gli occhialoni 3D!.
E invece, pensa un po’.
Nonostante la banalità, Lisbeth Salander, con la sola forza dei suoi piercing ai capezzoli, ha creato un franchise infinito di tre libri e milioni di copie, tre film e milioni di spettatori e ora altri tre film e miliardi di dollari.
Tutta da sola, l’ha fatto, ‘sta Lisbeth Salander.
Io ho letto i libri. Ho visto i film originali (annoiandomi, e a morte). Ho visto il remake di Fincher e finirà che vedrò anche gli altri due. E l’ho fatto perché mi diverto un mondo a usare Lisbeth Salander come bilancia di giudizio per la gente. Va più o meno così:
Io – Hai letto Uomini che odiano le donne?
Persona da giudicare – Sì! Bellissimo poi lei troppo un personaggio bello veramente tutta piena di piercing ma fragile al tempo stesso che poi infatti ci pensavo che anche tu hai tutti questi tatuagg…
Io [interrompendo] – Io la considero una dei personaggi più banalmente pensati e scritti di quasi tutta la letteratura thriller/gialla contemporanea. Lo stereotipo vivente creato da Larsson per l’hacker stramba e punk può fare leva solo su animi semplici che la sera si addormentano con letture banalissime, tipo Fabio Volo. Inoltre se andassimo a vedere chi sono davvero gli hacker oggi, non troveremmo di certo gente così riconoscibile con la cresta in testa o le catene nel naso. Zuckerberg ne è un’esempio. La maggior parte degli hacker sono nerd mezzi autistici, altro che punk.
Persona giudicata [in un certo imbarazzo] – Ah be’ sì certo, io comunque leggo anche altro eh. Siddartha anche leggo. Sì.
Lisbeth Salander non viene risollevata neanche dall’interpretazione di Rooney Mara (sempre ‘sti Noomi eh?), e neanche da David Fincher (che conferma ancora una volta la sua strana altalenanza stilistica). Certo non si può dire che sia un cattivo regista, questo no. Il film funziona molto meglio degli originali, ma è troppo lungo e se la parte dell’investigazione è tenuta con mano ferma (non si dimentica, Fincher, di Se7en e di Zodiac), ma tutte le parti con gli ostentati omaggi alla “traumatica e traumatizzata” Lisbeth Salander sono, appunto, banali (la scena della metropolitana è ridicola).
Stellan Skarsgård, nella foto in versione sålmøn & brøccøli per Pirati dei Caraibi
C’è poi un piccolo appunto da fare al direttore del casting. Ok Daniel Craig che continua a convincermi sempre; ok Rooney Mara che “si è fatta davvero i piercing, ‘mazza proprio metodo Dostoevskij” ma la candidatura all’Oscar è proprio un sintomo lampante della cecità di Hollywood (e allora, cacchio, The Woman?!); ma quando poi scegli di inserire nel cast lui (←) che con il suo sguardo glaciale e, soprattutto, il suo passato di “quello dalla moralità indefinita nei film”, come faccio poi io spettatore a non aspettarmi che sì, è proprio lui il cattivo (dai che non vi ho spoilerato niente, che lo so che siete tra le milioni di persone che avete letto/visto Millenium, almeno il primo).
Nella scelta del cattivo di un thriller bisognerebbe metterci un po’ di metacinema: prendere un attore che fa sempre il buono, che ne so, Tom Hanks, che il pubblico l’ha sempre visto dividersi tra lo scemo o l’imbambolato e fargli fare lo stronzo, però a sorpresa (non che lo dici prima e ci fai tutta la comunicazione sopra tipo Cruise canuto in Collateral).
Quindi Lisbeth Salander ritorna, si prende una candidatura all’Oscar perché “oh, ammazza che strana se c’ha tutti quei tatuaggi uno deve proprio essere cazzuto”. Invece pensa un po’, io sono pieno di tatuaggi (arisdinghe) e l’ultima cosa che mi sento è punk, goth, strambo, diverso, cazzuto, e se mai lo dovessi essere, non è per i tatuaggi. Anzi i tatuaggi mi hanno dato una tranquillità che pensavo di non avere (me è un discorso un po’ lungo, che non farò qui). Meno che mai essere pieno di tatuaggi fa di me un hacker visto che prima di scoprire la differenza tra
e
ci ho messo un anno. E ancora non ho capito che sono i
… sono i personaggi famosi nell’html?! Ogni volta mi incasino (infatti vedi! sono spariti i div e gli span che avevo scritto? Aiuto, Lisbeth!).
Inoltre mi è poco chiaro il motivo per cui Fincher ha deciso di ambientare il film comunque in Svezia invece di trascinare tutto negli USA, e perché fa recitare gli attori in inglese marcato come fossero svedesi che recitano in inglese, e poi i giornali locali sono in inglese.
Ma che ce frega, quando c’è di mezzo Lisbeth Salander è sempre tutto molto strano, hai visto quanti tatuaggi (che detto tra noi, fanno pure schifo).
Lisbeth Salander non è altro che un surrogato pop di un personaggio che, a voler chiamare in causa tutta una letteratura cyberpunk, in realtà esiste dagli anni 80, se non prima.
Ora è arrivata al grande pubblico e anche la mia vicina di ombrellone (quella della scenetta che vi ho raccontato prima) adesso sa che cosa sono gli hacker e che se vogliono ti entrano nelle mail! Ma tanto stai tranquilla perché gli hacker li riconosci subito, sono quelli pieni di tatuaggi.
Infatti ora che mi ci fai pensare ogni volta che prendevo il telefonino lei agguantava la borsa dal coprisole della sdraio (sai no, messo dietro la testa) e la stringeva forte a sé.
Popolino ti presento hacker, hacker, popolino.
E senza che c’entri nulla con il film tranne che ogni volta che si parla di Svezia vengono in mente, oltre a quei simpatici nazistelli biondi, i mobili di IKEA, ecco le istruzioni per montare roba interessante.
Sono sicuro che queste cose girano da anni ma io le ho viste solo ora e quindi non odiatemi… Donne che odiano C&B. E. Altro che trilogia potrei scriverci.
Ed ecco una cosa svedese frightening per davvero, fatto da una donna svedese cazzuta sì, Fever Ray.