Shame
di Steve McQueen
UK 2011
Cazzo, che film; e si sarebbe già detto tutto.
Shame è una riflessione profonda sul rapporto [carnale] che l’uomo ha con il suo corpo. Perché non so se ve l’hanno detto, ma non è vera la cosa che l’uomo – inteso come maschio, non come genere umano – ragiona con il cervello e agisce con il pisello; dalla frase potete tranquillamente eliminare la parola “cervello”. Non è essere fallocentrici e misogini, è solo essere realisti. Vi rendete conto anche voi che tutta quella favola dell’uomo romantico che si innamora e piange e i regalini ed Emily Bronte non è reale, non esiste, è una cosa che vi hanno raccontato per farvi addormentare la sera che vi hanno tolto il ciuccio o che avevate perso l’orsetto, vero? Lo sapete, donne – nel senso di femmine, i maschi già lo sanno, non ve lo dicono, ma lo sanno – che ogni uomo, ogni singolo uomo (e non ogni uomo single), che incontrerete nella vostra vita, penserà come prima cosa, sempre e solo, “me la farei?” (il punto interrogativo è fondamentale, come è fondamentale la risposta). E non contano età, colore, peso, statura (fisica o mentale). Quella è la prima domanda.
Parafrasanso Allen: nasciamo da una donna e passiamo tutta la vita a cercare di rientrarci.
A costo di sembrare impopolare – e litigare con cospettatrici e stalker e lurker – questa è la vera verità, non la mia verità, è la sola verità.
E non esiste uomo che non usa il porno per i suoi scopi (!), non esiste. E non credete che proprio voi avete trovato nell’uovo di pasqua l’uomo di pasqua che proprio lui “i porno non li guarda. Gli basto io”. Non voglio rovinarvi la favola di Abelardo che celebra il matrimonio tra Romeo e Amelie Pul’an, voglio solo dirvi come stanno le cose, così vi fate un’idea di chi siamo. Non metto in dubbio che possano esistere – pochi e non buoni – uomini chiusi in un carapace di formalità e psicosi che non ammettono, a sé stessi e agli altri, di essere animali atti a copulare con quante più femmine possibile e poi muori, ma sono falsità ambulanti.
Fatevi due conti. Quante volte vi è successo di “avevo questo caro amico mio giuro eravamo migliori amici facevamo tutto insieme io gli raccontavo le mie cose (!) lui le cose sue eravamo giuro troppo migliori amici poi una sera guarda ci sono rimasta troppo di sale mi è saltato addosso ma ti rendi conto eravamo troppo amici”. Quante. fottute. volte? E non prendeteVi in giro. Anche quello che oggi è il vostro migliore amico, beh, ve lo dico io, vi si farebbe.
La vita è una puttana. La vita è una cosa meravigliosa. Viva la vita. Chi ama la vita…
Shame è un gran film, in cui Michael Fassbender si erige – lui e il suo cazzo mostrato con impudicizia, ma senza malizia (nel senso “fammi spingere pause” del termine) – in tutta la sua maestosità; è bellissimo, bravissimo, sguardler sopraffino (altro che Ryan Gosling, il suo sguardling è davvero… penetrante).
Di nuovo un “darsi” anima e corpo – ma più corpo – al proprio regista, Steve McQueen (che nome, signori miei, che nome), come in Hunger (un po’ meno di Hunger): nudo, eppure mai libero, spogliato, eppure sempre ricoperto dalle proprie ossessioni, possessioni e sessioni sessuali. La lunga scena della deriva notturna, verso la fine del film, è il punto: deriva mentale e fisica (non si sa cosa conseguenza di cosa) fa quasi da specchio riflesso alla scena della morte del protagonista di Hunger; di nuovo un letto/sudario, di nuovo un corpo distrutto, di nuovo un viaggio al di fuori di sé; in Hunger sacrificandosi con un forzato digiuno mortale, in Shame distuggendo anche l’ultimo briciolo di sentimento in una forsennata scopata analfettiva – tra l’altro una scena che violenta lo spettatore e che deve essere stata una cosa “forte” da vivere, per l’attore e per il regista (donne escluse, e, di nuovo, non per misoginia).
Thanatos in Hunger, Eros in Shame. Non c’è altro nella vita dell’uomo (genere umano).
Fassbender è Shame, nessun’altro. Le debolezze del film – che non mancano – sono dimenticate di fronte ad alcune sequenze onestamente indimenticabili; oltre il (con)citato threesome, la scena della corsa dalle lunghe falcate nel cuore di una NY notturna e non sfruttata per fini meramente turistici; non si vede una singola scena aerea di NY, il che pare un controsenso in un film ambientato nella grande mela. Ma ogni città, megalopoli o villaggio, in realtà non si erge per più di 1 metro e 80 di altezza e 15 centimetri di lunghezza (altezza media e lunghezza media di un uomo).
L’uomo (inteso come genere umano, non come maschio o femmina) mente, sfugge, mistifica e non ammette che siamo animali. Prima di tutto siamo animali. Siamo Homo Erectus, giusto? Certo, la dipendenza del protagonista di Shame dal sesso nelle sue forme meno “reali” quella no, quella non è da tutti (guardare anal, double anal, cream pie mentre si cena, giusto per averli in sottofondo come fosse il brusio della TV è patologico, e i gemiti si confondono al comparto sonoro del film tutto: frenate di metropolitana, ticchettio di tasti, bip di segreterie telefoniche, rumore di motori, sms in arrivo).
La fruizione sana (!) che il maschio ha del porno comincia e finisce nel tempo di una pippa, è un interruttore: acceso/spento. A volte, molte volte, è anche la fruizione che il maschio ha della femmina, ma non siamo qui per parlare di questo (oppure sì?). Oppure siamo qui a parlare di un uomo che ha capito e accettato la verità: che l’uomo e la donna non sono fatti per stare insieme. Sono perfetti per scopare, ma non per condividere una vita intera. E ne paga le conseguenze – se riesco a spiegarmi – nella lunga sequenza del tentato avvicinamento sentimentale con la collega, fallimentare in tutti i sensi. Uno stupro alla sua natura, ficcare dentro a forza un sentimento quando il cuore e la testa sono asciutti come pietre al sole.
Fassbender, riprendendo il filo, si dona al suo regista, anima e corpo, come si dice, e dimostra la sua piena fiducia in chi lo dirige, fiducia che va oltre la professionalità, oltre il rapporto attore/regista, qui si parla di uomini e di amore; come già aveva fatto in Hunger (no, davvero, recuperate Hunger, che l’avevo detto che Fassbender era destinato a grandi cose, sì ok era facile a dirsi di fronte a quella interpretazione, ma poi non così scontato). Stiamo assistendo ad un altro sodalizio artistico/umano come non se ne vedevano da decenni, dopo quello Refn/Gosling, McQueen/Fassbender.
Poi c’è la parentesi Carey Mulligan. Carey Mulligan ha la faccia che sembra fatta di pasta di pane prima di andare al forno. Sembra di poterle spingere il dito nella guancia e quella piano piano torna normale. Carey Mulligan è stata testimone di due interpretazioni importanti di questi mesi (Drive e Shamee) ed è stata nel mirino dei due sguardler più affascinanti (e anche i fondatori (messia e ambasciatore) del movimento sguardler) e sono primati e fortune del tutto immeritate: la Mulligan in Shame è fastidiosa come mai, borderline e problematica (ancora peggio di quando fa la innocente elegante), e raggiunge l’odio in un’insopportabile scena di canto, questa.
Una di quelle scene che farà impazzire i suoi fan con “ha retto (!) il primissimo piano con caparbietà”, e che invece è un infinito strazio, e neanche il full frontal asessuato che ci regala perora la sua causa: Carey Mulligan non me la scoperei neanche con una pistola puntata alla tempia. Carey Mulligan è la dimostrazione che quello che ho scritto riguardo allo scopare tutto e subito può anche non essere vero.
I due protagonisti, fratelli accumunati da un male di vivere dalle radici profonde germogliate lontano nel tempo – il film non rivela, ma spinge alla riflessione, e la fame sessuale condivisa, a tratti pericolosamente incestuosa – sono due visi (spigoloso quello maschile, di burro quello femminile) della stessa psicosi: il sesso come valvola di sfogo. Agli antipodi, rispettando e esasperando i due stilemi classici uomo/donna, l’uomo che viene, si veste e se ne va e la donna che viene e poi vuole essere amata. Eppure nessuno dei due è destinato a guarire, e anche la domanda che McQueen ci pone nella scena finale (che quasi ricorda “trottola”) ha, almeno per me, una sola risposta: la segue, sì che la segue, perché nessuno, nessuno, cambia. Mai.
E cos’altro c’è? No davvero, ditemelo. Cosa. Altro. C’è? Cosa altro fareste a Fassbender, se non scoparvelo? Fuck Yeah.
Io me lo scoperei. Senza il bisogno di pistole puntate alla tempia. Parafrasando Kubrick e l’ultima frase del suo ultimo film.