Ma Come mai?
No sul serio, perché?
Perché a me Sorrentino piace e manco poco; figurati, basta che leggi questo e questo, e capisci che – seppure in ritardo – mi sono unito al coro di voci che “Sorrentino grande personalità, Sorrentino regista con due palle così, Sorrentino evviva, Sorrentino salvacelo tu il cinema itagliano”. Perché rimango dell’idea che non sia solo un “orbo in un paesi di ciechi”, cioè della serie: visto che è circondato dai cinecojopanettoni allora fa più bella figura perché almeno ti fa i movimenti di macchina, le carrellate, i piani sequenza. A me la sua cinematografia piace e continua a piacermi senza se e senza ma.
Ma se poi esce con questo film. Non capisco.
Ora, le trasferte americane di autori extra-USA sono sempre materia oscura, possibile che perdi totalmente la brocca e diventi un mestierante (vedi John Woo o Paul Verhoeven) oppure sei Milos Forman, sei Refn (per fare un esempio più contemporaneo).
Sto per dirvi una cosa che peserà: ha fatto molto molto meglio Muccino! E gli è andata pure meglio con Will Smith! E il motivo è semplicissimo: Muccino già li faceva da prima i filmetti melensi di vite normali che diventano speciali, di gente che crede nei sogni, Muccino era amerigano dentro anche se viveva a Parioli. Quando ha fatto il suo primo film amerigano (La ricerca della felicità), ci stava già comodo sulle banalità eccezionali della vita vissuta normale, la mia, la tua, quella di Will Smith col camper da 14 milioni di dollari.
Sorrentino invece, che ha sempre saputo proporre un’Italia provinciale fatta di sgherri, omini piccoli, mezze tacche e politicanti gobbi quasi usciti da un libro fantasy, se ne va in Ameriga e, purtroppo, non riesce a catturarne che una superficiale cartolina. Ok, magari non la cartolina che compri a Union Square con la Statua della Libertà e l’aquila che vola, ma quella un po’ “originale” stampata in meno copie con una foto fatta bene e un luogo inusitato, ma sempre una cartolina è. Lande desolate, ponti altissimi, indiani che fanno l’autostop e bufalo (l’animale, non la città). Come quando Paolo Virzì ha mandato Tanino in Ameriga: visioni spersonalizzate di un italiano, ok, un po’ più intelligente della media, ma lontanissima da quello che riescono a dire quando parlano della “loro cosa”, con il loro linguaggi, con la loro visione “io non mi sento itagliano, ma non potrei essere altro”. Ma vogliamo mettere la Livorno di Virzì con l’America di Virzì? Vogliamo mettere la provincia macellata di Sorrentino con l’america “immobile” che si vede in TMBtP?
Cioè roba che era più ficcante Vacanze in America ve lo dico io:
Invece di De Sica e Amendola, Sorrentino ha dalla sua Sean Penn, lo traveste da Strega di Oz e gli fa fare un personaggio che Simple Jack gli dà lezioni di trigonometria. No, davvero, voi avete davvero amato quei gridolini isterici? Quel fare dissociato? Quella camminata sbilenca? E tutte le sentenze che gli escono dalla bocca?
Io. No.
Ma proprio no.
Ma no no no.
Tutta la parte on the road (cioè da mezz’ora in poi) è altamente fastidiosa (e non sono solo io che ho una certa antipatia per i film on the road che poi sono praticamente a episodi e diventano una gara con se stessi per fare i personaggi via via (!) uno più strano di quello prima, e il viaggio continua ma è un viaggio dentro se stessi e prego accosti a destra patente e libretto).
Ed ecco Woody Woodpenneker Cheyenne, lo stralunato protagonista, alle prese con i diner, eccolo alle prese con il ping pong, eccolo alle prese con un criminale nazista (ah ecco.), eccolo alle prese con una pozzanghera, avanti un altro! Quest’andamento appalesa (infatti si vedono i Monti Appalacchi) una forzatura di scrittura disumana. Penn, nascosto nel cerone e nel rossetto pesante, se ne va in giro per tutto il film a sparare sentenze che sembrano, quelle sì, uscite da un adesivo da attaccare sul cruscotto posteriore della macchina. E a litigare con Gabriel Byrne. Shit Happenns!
Ma cosa è successo? Proprio Sorrentino non dovrebbe sapere che certe cose funzionano su carta ma recitate per nulla? E questo suo personaggio quasi da Commedia dell’Arte non lo ha stufato dopo un’ora?
A me dopo un quarto. Perché l’iconografia forzata del protagonista è veramente il fail del film: ehi guardate, metto Sean Penn nel mio film e gli metto il parruccone e il fondotinta! Strano! Strambo! Sono italiano! C’ho personalità!
Che peccato ritrovarsi a pensare che non solo Muccina ha fatto meglio, ma, nell’assurdo assurdo (lo ripeto: assurdo brutto) finale, ecco che arriva il muccinismo e grida: “ma l’impresa eccezionale dammi retta è essere normale”.
Torna a casa Paolo, lasciali sta’ quegli amerigani che so’ cattivi, so’ brutti, so’ stupidi.
Torna, a Sorrentino, sto cinema aspett’attè.