The (e)book is on the table | Le nostre luci

Le nostre luci
di Ben Brooks
ISBN 2011 | acquista

Le tende chiuse, il sole che cade dietro alla collina sotto a un cielo viola, con L’Eroica di Beethoven a riempire la stanza in repeat continuo mentre i gatti curiosi provano ad affacciarsi da fuori, vedendo un brutto sedicenne che picchia sui tasti del computer patetici tentativi di emulazione bukowskiana – robe con titoli come L’aquila americana nazionalista vola ancora sopra il Nevada [cfr. Appendice, Rep. A e Rep. B]) – immerso in un delirio di pseudo-arte che imita la vita e viceversa (dove anche la vita è “pseudo”), immolando, in lunghi pomeriggi di bevute, fegato, amicizie, voti scolastici e fiducia parentale alla dea Ispirazione, per finire poi in nottate riempite dal rumore del modem a postare gli zoppicanti risultati in newsgroups dove più attempati esemplari umani si scambiano esibizionistiche impressioni/critiche/recensioni.
Quello ero io. E solo anni più tardi ho scoperto con una stretta al cuore al gusto di vergogna e orgoglio calpestato che in un newsgroup parallelo mi si sfotteva per le mie pippe “sperimentali” giudicandole niente più che comiche (ovvero quello che faresti ora su facebook o twitter con i blog degli emo).

A Ben Brooks è andata decisamente meglio.
A sedici anni, dopo aver trovato in un negozio di libri usati una copia di The Human War di Noah Cicero – classe 1980, romanziere e poeta americano che qui in Italia non è ancora arrivato – si mette a scrivere racconti davanti ad un computer di una cameretta qualunque di un quartiere borghese qualunque di una cittadina qualunque del Gloucestershire, nel Regno Unito, e li spedisce ad un editore americano che prima rifiuta, incoraggiando però il ragazzino a scrivere ed inviare ancora i suoi manoscritti, per poi pubblicare finalmente un suo racconto sperimentale, Fences [cfr. Appendice, Rep. C e Rep. D] nel 2009.

Ora, a diciannove anni e con un frangettone che farà impazzire le TQ con spirito materno e velleità letterarie, Brooks arriva al grande pubblico con il suo primo vero romanzo: Grow Up, pubblicato in Italia da ISBN con il titolo Le nostri luci e salutato dalla critica con commenti allineati – con molta poca fantasia (vedi l’onnipresenza di “adolescenti 2.0” nelle recensioni) – a quelli d’oltre manica, giudicandolo una prova ancora acerba di un possibile nuovo talento (e mi vengono i brividi pensando a quando tireranno in ballo J.T.Leroy o la nostra – mio peccato di gioventù, lo ammetto – Santacroce), interessante però per capire ‘sta cavolo di “generazione-facebook” (altra espressione che puzza di giornalismo da elettroencefalogramma piatto, esattamente come i vari “popoli”  – viola, di internet, di twitter…  – come fossero alieni di pianeti lontani e diversi).

Si imputa a Brooks il non esser riuscito a fare dei protagonisti del libro dei cosiddetti “round characters”, appiattendoli sullo stereotipo adulti-che-non-capiscono vs. diciassettenni-senza-sentimenti che imparano l’arte del vivere a suon di droghe ed alcool e l’aver presentato l'(autobiografico) protagonista Jasper come cinico per poi farlo cadere in momenti di banalissima ingenuità.
Ma – mi chiedo – non sei forse così da adolescente? Non vedi il mondo come bianco o nero? Gli adulti come massa informe ed indistinguibile di gente che ha perso il senno tra gli ingranaggi del loop lavora/produci/muori? I tuoi coetanei che mezz’ora prima ti stringevano in un rassicurante e comprensivo abbraccio famigliare trasformarsi mezz’ora dopo in mostri ciechi e conformisti pronti a farti la pelle non appena si accorgono di poterti etichettare come diverso?

Le nostri luci non ti cambierà la vita, non ti renderà migliore né peggiore ma ti regalerà una buona dose di onestà. Merce rara dalle parti della parola scritta e da prendere sempre con la gioia di chi apre un pacchetto regalo e dentro ci trova più di quel che si aspettava.

APPENDICE

Rep. A
Rep. B
Rep. C
Rep. D
Un messaggio

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