Ho iniziato a usare internet quando ancora non c’era Google. Le ricerche le facevo su Hotbot (per quelle più specifiche c’era Yahooka, che non c’entra niente con Yahoo, ed ora non c’è più) e quasi sempre finivo su qualche pagina Geocities. Dipendeva poi dal periodo: potevo imbattermi in bizzarre iconografie arcane, come in stomachevoli illustrazioni da giovane wiccan, o inquietanti ritratti di Kurt Cobain fatti a mano da ragazzine con troppo tempo libero a disposizione oppure gif animate fantasy-fricchetton-sataniche.
Tutto era lento. E quando le immagini si caricavano erano quasi sempre una schifezza. Ma una schifezza che arrivava dall’altra parte del mondo, che chiamavi scrivendo qualcosa sulla tastiera. Ora sembra normale ma all’epoca la sentivi l’emozione di scoprire dove finisse tutto quel mondo che passava attraverso il gracchiare del modem: tutti i testi dei Sonic Youth? Wow. Il sito dei giapponesi feticisti delle ragazze in impermeabile? Doppio-wow.
Andare su Internet Archaeology, per quelli vecchi (in anni-web) come me, è come aprire una scatola di ricordi.
Un’archivio dov’è conservato il peggio – o sarebbe meglio dire ciò che è più emblematico – dell’estetica del web, com’era più di 10 anni fa.
Datemi pure del nerd ma ogni tanto la lacrimuccia ci prova a venir giù.