Magritte diceva che i titoli non sono spiegazioni dei quadri e i quadri non sono illustrazioni dei titoli. E che la rivelazione tra titolo e quadro è poetica.
Due cose allora: tra il quadro e il titolo non c’è relazione ma rivelazione, quindi qualcosa che qualcuno deve scoprire per tutti; questa rivelazione (contribuisce a) costituisce e fonda la poetica dell’artista.
Estensione del dominio della lotta è un bel titolo. Si riferisce al primo romanzo di Michel Houellebecq e non lo spiega, come il libro non illustra il titolo. Anzi, tutto il contrario.
Estensione del dominio della lotta come dire che prima si lottava solo per la sopravvivenza mentre adesso si lotta per molte più cose: il lavoro, l’amore, il sesso eccetera. I motivi per cui si combatte, ma non ciò per cui ne vale la pena, aumentano sempre di più.
Il libro però non parla di uno che lotta con il coltello tra i denti, facendosi largo in questa società frenetica; non parla nemmeno di uno che non lotta o che non si rende conto di questo fenomeno, altrimenti la relazione, seppur inversa, sarebbe tale e non da rivelare.
Il libro parla di un trentenne depresso che incarna il manifesto della non-vita, dell’indifferenza, della noia che, come dicono i signori della Bompiani, “è capace di segnare la generazione contemporanea come Lo straniero di Camus segnò i giovani del dopoguerra”.
Il protagonista si rende perfettamente conto di quanto il dominio della lotta si stia estendendo. Solo che non gliene frega niente. E, si badi, non perché gli manchi la speranza, come il finale potrebbe far pensare. Al contrario gli manca uno scopo che è, chiaramente, fondamento e perno della lotta stessa.
La lotta senza scopo non esiste, trovatemene un esempio.
Il trentenne è fuori dal mondo non perché non lo capisce ma perché lo capisce troppo. E sa che per chi non ha scopo, non ci può essere ontologicamente posto. Eccolo qua il manifesto che segnerà una generazione.
Ma è un manifesto strano, non è polemico. Qua non si accusa una società, semplicemente ne si delineano le strutture. D’altra parte il protagonista, durante una passeggiata, legge un graffito che gli fa dubitare dell’effettiva competenza ecclesiastica: “Dio ha voluto ineguaglianze, non ingiustizie”.
La poetica di Houellebecq è tutta qui ed emerge dal rapporto tra un titolo e un libro che non tanto lo sconfessa quanto lo costeggia.