Nonostante possa ricordare il nostro boccon del prete, che è la parte più prelibata del pollo, il culo, gli anglosassoni hanno un detto, a curate’s egg, l’uovo del curato, che nasce a partire da una vignetta di fine ‘800 e indica qualcosa di cattivo che però ha delle parti buone (o viceversa, dipende dai punti di vista).
Utilizzandolo come metafora per i discorsi attorno al design, pieni di chiacchiere, paroloni e talvolta fuffa, ma anche pieni di stimoli interessanti, Katie Ewer e Silas Amos, lei di base a Singapore, lui a Londra, hanno lanciato lo scorso ottobre la loro versione dell’uovo del curato, A curate’s egg, che si sviluppa attorno a un’idea semplicissima: contattare designer, illustratori, registi, scrittori, o comunque professionisti dell’industria creativa, e rivolgere loro solo una domanda.
Le risposte vengono poi raccolte sul sito, insieme a un piccolo profilo dell’autore, e ogni martedì e giovedì esce una nuova “puntata”.
Il risultato è piuttosto interessante e in qualche modo ricorda un altro progetto di cui ho parlato non molto tempo fa, quello delle interviste stupide a designer intelligenti.