We Make It Real: a Natale regala un albero

L’unico albero di Natale vero che ho avuto (e con vero intendo vivo), si chiamava come me: Simone. I miei lo presero quando io ero ancora piccolo — no, non andò così, credo che semplicemente lo comprarono da un vivaio — e lo misero in un vaso, in salotto, dove lo addobbammo abbondatissimevolmente, come si usava negli anni ’80, con almeno tre serie di lucine — quelle a forma di stella, quelle a forma di pannocchia di mais e quelle che sembravano lanterne cinesi — e poi nastri colorati rossi, dorati, argentati, un paio di scatoloni di palle e palline di vetro appese alla rinfusa, le più preziose messe più in alto, lontane dalle mie sbadate e curiose, piccole mani.

Dalle foto dell’epoca, il Simone-albero e il Simone-bambino erano alti uguali (da qui l’omonimia), e mentre l’uno sembrava stremato sotto a tutti quegli strati di simbolica gioia natalizia, l’altro pareva un manichino costretto sotto a strati di maglioni, calzamaglie e pantaloni di velluto a coste, protetto dal freddo pungente di una casa impossibile da riscaldare.
Il puntale, che come la guglia di un grattacielo avrebbe fatto svettare l’abete sopra alla mia testa, non riuscimmo a metterlo: troppo gracile l’ultimo rametto. E così quel Natale lo passammo così, da pari a pari, finché, finite le feste, se ne uscì dal salotto e non ci tornò più.

Simone-abete andò a vivere in giardino, poco lontano da tre alti cugini pini, in bella vista davanti casa, dove anno dopo anno crebbe sempre di più, col Simone-bambino che non riuscì più a stargli dietro ma continuava a salutarlo ogni volta che entrava o usciva dal cancello. Quello era il suo albero. Era il mio albero.
Oggi né io né i miei genitori abitiamo più in quella casa. Ho controllato con Google Street View e ho visto che lui non c’è più, lì nel giardino, ma sono sicuro che sarà stato piantato da qualche altra parte, e che sarà sempre più alto, sempre più forte, in grado di reggere un puntale da un quintale, e probabilmente quando lo rivedrò lo riconoscerò, visto che dopotutto siamo cresciuti insieme per tanti anni.

Quell’albero, Simone, fu probabilmente uno dei più bei regali che potessero farmi. Allo stesso modo, uno dei più bei regali che potremmo fare tu e io a qualcuno, per questo Natale, è qualcosa che non si può impacchettare, né scartare, mangiare, indossare, accendere o aggiornare con un nuovo sistema operativo: un albero, appunto. Vero, vivo. Piantato da Treedom, piattaforma web tutta italiana che offre la possibilità di acquistare alberi e piantarli là dove ce n’è più bisogno, che sia in Italia, in Africa o in Sud America.

(courtesy: Treedom)
(courtesy: Treedom)

Per il Natale 2016 Treedom ha lanciato la campagna We make it real, che permette a chiunque di regalare un albero a scelta tra Avocado, Guava, Mango e Markhamia. La pianta verrà poi interrata in Kenya, donata ai contadini del luogo a nome di chi il regalo lo acquista e di chi, virtualmente, lo riceve.

Se ad esempio decidi di coinvolgere un tuo amico, questo riceverà un messaggio di auguri personalizzato, che può arrivare via mail, su Facebook o con un link al sito da cui scaricare il biglietto. Nel frattempo qualcuno, in un villaggio kenyano, comincerà a prendersi cura dell’arboscello fino a farlo diventare grande e forte.

La scelta di Avocado, Guava, Mango e Markhamia ha dietro una motivazione. I primi tre producono infatti frutti sia da mangiare sia, eventualmente, da vendere, mentre la Markhamia, che genera dei bellissimi fiori gialli, si utilizza per fare ombra sia alle colture che agli uomini durante il lavoro.
A proposito di uomini, sul sito natale.treedom.net, oltre a poter acquistare gli alberi che verranno piantati, si può anche fare un “giro” a 360° in compagnia di un contadino che dà informazioni sull’albero scelto e racconta un po’ di storie divertenti.

Tra l’altro ogni albero viene geolocalizzato e fotografato così, mentre quello cresce, l’amico a cui lo hai regalato continua a ricevere aggiornamenti.
Non nego che piacerebbe pure a me riceverne sul mio amato omonimo Simone-abete. Basterebbe una mail ogni tanto: «sto bene», «gli aghetti di quest’anno sono teneri teneri»…

(courtesy: Treedom)
(courtesy: Treedom)
(courtesy: Treedom)
(courtesy: Treedom)
(courtesy: Treedom)
(courtesy: Treedom)
(courtesy: Treedom)
(courtesy: Treedom)
(courtesy: Treedom)
(courtesy: Treedom)
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