(courtesy: Moronauta)

Prontopronto: dove sono finite le vecchie cabine telefoniche?

C’è questo libro, Il Magico Potere del Riordino di Marie Kondo, che è una specie di Jumanji al contrario: lo apri e, invece di vedere uscire ippopotami, leoni e altri animali che invadono la città, tu senti il desiderio di eliminare qualsiasi cosa ci sia nella tua casa.
Pagina dopo pagina si sviluppa in te un senso di totale noncuranza verso gli oggetti che ti circondano e l’unica cosa che ti appaga è il bianco. Come passare da uno yogurt Mữller di quelli dove ci puoi buttare dentro la granella di cioccolato, alla nipponica essenzialità di un vasetto di Yomo al malto. Finché, durante la tua impietosa operazione di sgombero esistenziale, non ti imbatti in una scatola piena di vecchie tessere telefoniche. E lì, davanti al sacco nero pieno di roba che hai deciso di dimenticare, ti fermi, titubante.

Ci sono ancora i telefoni pubblici? E le cabine telefoniche? E che cos’è questa strana malinconia che ti prende per dei vecchi cartoncini colorati?
Eccoci finalmente al punto. Moronauta, ideatore del progetto R.I.P. (un’allusione alla vecchia SIP) chiama questo sentimento “pre-nostalgia”: «la nostalgia che si può provare per qualcosa prima ancora che questa se ne sia andata».

(courtesy: Moronauta)
(courtesy: Moronauta)

Gli chiedo come gli è venuta l’idea di creare un “frammento” di cabina della SIP e di ricontestualizzarla nei luoghi in cui si trovava tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, quasi fosse un reperto archeologico.
Moronauta mi spiega che l’opera vuole dare a chi la osserva la possibilità di sentirsi curioso verso un elemento ignorato e dimenticato, come una cabina telefonica (ma potrebbero essere «le colonnine elettriche, i basamenti in cemento, i tombini») , prima che sia troppo tardi per incontrarne anche solo una.

«Le cabine sono ancora tra di noi» dice «ma è come se nella mente di tutti fossero già sparite».
Le pochissime che restano non le vediamo. Per recuperare le tracce della loro presenza, Moronauta ha trovato un vecchio Tuttocittà della Milano degli anni ’80, in base al quale ne ha collocato l’installazione concordemente a quella che lui definisce “mappa emotiva”.

(courtesy: Moronauta)
(courtesy: Moronauta)

Per la verità le sue cabine sono ridotte a poco più del tetto, come se il loro corpo fosse inghiottito dalle sabbie mobili del tempo. Per vederle si può andare alla pagina Facebook Prontopronto, dove sono documentate le fasi di ricerca che hanno portato alla realizzazione del lavoro. Il cui significato va oltre alla pre-nostalgica geografia della memoria e investe i cambiamenti nel nostro modo di comunicare. Infatti le dinamiche all’interno di quelle cabine erano l’esatto opposto di quelle di un gruppo WhatsApp di oggi, dove interagiamo contemporaneamente con più interlocutori e ci si scrive o manda messaggi vocali mentre intorno facciamo di tutto e succede tutt’altro.

Là, dentro quelle cabine, eravamo “costretti” in uno spazio, quasi di meditazione, intimo, in cui ci scambiavamo informazioni con una sola persona. Naturalmente quando le usavamo a questo non avevamo mai pensato. Il progetto di Moronauta ci invita a farlo ora.
Ci provo, cercando di riappropriarmi di quel modo di comunicare pulito, diretto, ma godibile. Come un vasetto di Yomo al malto. 
Anche se, nelle sere d’inverno, quando torni a casa stanco, ogni tanto va bene metterci dentro quei piccoli, deliziosi agglomerati di cereali al cioccolato.

(courtesy: Moronauta)
(courtesy: Moronauta)
(courtesy: Moronauta)
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