(foto: Negar Takbiri, fotografa pubblicata sul secondo numero di “The Smart View”)

The Smart View: è uscito il secondo numero del magazine dedicato alla fotografia da smartphone

Nella musica, l’uso dell’elettronica non fa più scandalizzare nessuno dall’epoca dei Kraftwerk. E la scena indie ha “saltato il fosso” quando i Radiohead hanno dimostrato che si può benissimo fare uno dei migliori dischi rock di sempre pure coi campionatori.
Nell’illustrazione, un art director non si sognerebbe mai di rimandare indietro un’opera fatta con Illustrator o Photoshop se l’idea è quella giusta per una copertina o per illustrare un articolo, ed è realizzata come si deve («Ponzi, questa me la rifai a matita» — te l’immagini?)

E gli architetti? Quanti sono rimasti quelli che costruiscono ancora (o fanno costruire) i modellini a mano? Domanda retorica: ne sono rimasti pochi — e se vuoi puoi chiederlo a quegli artisti-artigiani che facevano quello di mestiere.
Per non parlare della grafica, dove se lavori ancora così e non sai usare i software, ti sbattono direttamente la porta in faccia.

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Nel cinema, arte relativamente “giovane” ma in questo senso molto più tradizionalista delle altre, il digitale è ormai da anni largamente sdoganato in maniera trasversale — dal kolossal di Natale al film d’essai — dopo oltre un decennio di diffidenza, che ha iniziato a scricchiolare prima grazie a Dogma ’95 di Von Trier e soci, poi definitivamente, quando anche i grandi registi di film d’autore hanno cominciato a lavorare così: Lynch e Scorsese su tutti.

Poi c’è David Hockney, che a 71 anni ha cominciato a dipingere con le dita su un iPhone e poi su un iPad…
Ma la fotografia no. La fotografia, che evidentemente non si è mai del tutto ripresa dall’aspra polemica che l’ha vista coinvolta in gioventù nei confronti della pittura, vive ancora una sofferta lotta interna tra puristi — quelli che l’analogico è l’unica vera fotografia —, semi-puristi, che fanno a gara a chi ce l’ha più grosso (l’obiettivo, i megapixel, l’attrezzatura), e gli “spontaneisti”, che non si fanno troppi problemi a usare quel che capita e che fa più comodo in un dato momento. E quel che capita e che fa più comodo, non fosse altro perché ce l’hai sempre in tasca, è ovviamente lo smartphone.

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Anche molti di quelli che, sempre più numerosi, appartengono a quest’ultima categoria, sentono comunque il bisogno di giustificarsi: «non è la fotocamera, l’importante, ma l’idea». Il che non è sempre vero — spesso lo è, ma non sempre — come dopotutto non è una certezza neppure il vecchio adagio punk «fanculo qualsiasi tecnica, l’importante non è lo strumento ma l’anima di chi lo suona».
Però c’è davvero bisogno, nel 2016, di prodursi in scuse del genere? Non sarebbe meglio usare quelle energie semplicemente per fare buona fotografia? O al limite per discutere su cosa sia la buona fotografia1? O magari per educare all’immagine generazioni bombardate di input visivi che non sanno gestire e talvolta neppure capire?

Tuttavia i segni che le cose stiano pian piano cambiando ci sono: photobook d’artista in cui vengono inserite anche foto scattate con smartphone; premi vinti da fotoreporter con scatti fatti con loro “occhio mobile”; in parte pure i mega-manifesti delle campagne Shot on iPhone di Apple (che perlomeno hanno fatto discutere).
Mi spiace un po’, dunque, che un magazine nato proprio come piattaforma di promozione e di discussione della fotografia su smartphone, un magazine immediatamente (e meritatamente) preso sul serio da tanti professionisti dell’editoria, tanto da essere nominato tra i migliori 10 magazine indipendenti lanciati nel 2015, trovi anch’esso il modo per giustificare il fatto che le foto “fatte col telefonino” siano comunque foto.

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Capita sul secondo numero di The Smart View, uscito lo scorso settembre con il secondo numero a un anno di distanza dal primo, che tra le prime pagine scrive: «It’s not about the camera but the images we create».

Mi si stringe il cuore. Perché, cavolo? È una bella rivista, è fatta bene, anche stavolta è stata nominata per gli Stack Awards (nella categoria best use of photography), ospita tanti bravi talenti, tra cui ben tre italiani — Iacopo Pasqui, artefice della foto di copertina, Antonio D’Agostino e Piero Percoco — eppure sente ancora il bisogno di difendersi, di scusarsi, con un motto del genere?

Detto questo, va riconosciuto che The Smart View #2 è davvero un buon prodotto – chi volesse può sfogliarne qui una preview.
Manca soltanto, a mio avviso, un bel colpo di reni, quello scatto d’orgoglio per portare il discorso a un livello successivo.

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(foto: Negar Takbiri, fotografa pubblicata sul secondo numero di “The Smart View”)
(foto: Negar Takbiri, fotografa pubblicata sul secondo numero di “The Smart View”)
co-fondatore e direttore
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