Teresa

Teresa ha gli occhi secchi e guarda verso il mare….

È un’altra Teresa questa, non è di Rimini, ha gli occhi a mandorla ed è stata fermata nei pressi di Ostia durante un controllo anti prostituzione. Gli agenti controllando i documenti hanno scoperto, dopo una imprecazione (un azzo con 12 zeta), che risulta essere la titolare di Teresa Confezioni, il laboratorio di Prato dove sono morte bruciate sette operaie. Un banale incidente causato da una stufetta, i giacigli di cartone e i tessuti sintetici hanno fatto il loro degno lavoro con i loro malefici fumi.
Tutto questo a Prato, con un ex sindaco che vuol sistemare l’Afghanistan e con un presidente della regione che vuol fare le scarpe (e non nel senso delle calzature) a quello dell’Afghanistan. Questo a dieci minuti in bicicletta da dove sono raccolte le essenze dell’arte, della cultura e del sapere del mondo. Da capitale della scienze e dell’arte a buco nero dell’illegalità.

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Torniamo a Teresa, è spaventata, ha gli occhi piccoli come una bestiola in trappola. È lì in piedi dietro la macchina dei carabinieri, i suoi tratti sono da bambina e lo sembra ancora di più rannicchiata nella sua striminzita pelliccetta rosa, illuminata dai bagliori blu del lampeggiatore; il carabiniere legge dal computer la storia e ripete la parola cazzo compulsivamente. Poi chiama la centrale dicendo qui c’è una da “impacchettare”.

Intuendo quello che sta per succedere gli occhi di Teresa non sono più secchi e si riempiono di lacrime. Ripercorre gli ultimi due anni di vita: lo straziante addio alla sua famiglia e al suo mondo rurale, poi il viaggio che ricorda come il percorso claustrofobico di un pacco all’interno di container navi e camion, l’arrivo a Prato, sei mesi a cucire e le poche ore di riposo nelle cellette giaciglio divise dal cartone. Poi il kapò, quello cattivo, che urlava sempre, le sorrise e la accompagnò in centro alla città, in uno studio notarile, dove le intestarono la ditta. Con il premio ricevuto si comprò un telefonino, dei cosmetici ed un vestitino a fiori. Poi avanti col lavoro sino quella tragedia.

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Cosa le faranno i carabinieri che la stanno trattenendo?
Non è determinante saperlo, anche se la condannassero all’ergastolo non si fermerebbe l’espansione dei laboratori cinesi, basta un’altra Teresa con il passaporto e, con la modica cifra di 4000 euro, si apre un’altra partita Iva.
Partita Iva a scadenza, ogni 16 mesi si cambia, perché così il fisco italiano non riesce a starti dietro. Un meccanismo che i cinesi hanno capito e usano alla grande. Gli uffici dello finanza e gli ispettori dell’agenzie delle entrate ancora no.

La lentezza nel fermare questo fenomeno ha secondo me più spiegazioni, l’inefficienza paralizzante degli enti pubblici e, ad essere maliziosi, si potrebbe pensare che è meglio multare un italiano che paga rispetto ad un cinese che sparisce, quindi addio gratifica sulla multa! E a voler essere ancora più maliziosi, si arriva a pensare che il milione di capi che esce ogni giorno da Prato (cifre dell’Unione Industriali) vanno ad arricchire troppa gente, e sopratutto gente che ha il suo modo per fermare o rallentare gli eventuali processi di “bonifica”.

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Guardando cosa sta succedendo nelle città, si vedono sempre più negozi o piccole catene con un Made in Italy della mutua: il Made in Prato. Da questo Made in Italy della Mutua attingono anche aziende che se la tirano la grande!
A questo punto dovrei scrivere considerazioni indignate su associazioni di categoria latitanti, controllori che non controllano e altro.
Non ne ho voglia, lascio le righe in bianco e scrivetele voi, se vi garba.

P.s.
Attenzione, visto che a Prato stanno facendo qualche controllo in più, i Fabblicato in Italia stanno invadendo i capannoni vuoti nel rovigotto.
Poi se magari qualcheduno guardasse le navi cinesi che sostano in Grecia ed il giorno dopo arrivano a Venezia con merci di provenienza UE…

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