(foto: Giulia Agostini)

The strawberry blonde who thinks she is a redhead: di bionde che si credono rosse e di imprevedibilità controllata

La prima volta che l’ho incontrata, poco più di un anno fa, ho pensato che Alessia fosse bionda. No, in realtà non ho pensato nulla: non è che quando conosci qualcuno pensi “è biondo”, “è moro”, “è rasato”. Al limite vedi che è biondo, moro, tinto di verde o rasato.

Quindi — ricominciamo — la prima volta che l’ho incontrata, Alessia era bionda. È diventata rossa pian piano. E non per chissà quale scherzo della luce o perché avesse deciso di tingersi. Semplicemente, Alessia mi ha convinto. Senza far niente di che, tra l’altro: mi ha convinto perché era innanzitutto lei quella ardentemente, tenacemente certa di essere rossa.
«Strawberry blonde, ci chiamano» dice Alessia «e tecnicamente siamo rosse».

(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)

Alessia Beraldin, la “diversamente rossa”, è stata una mia studentessa allo IUAV, Design della Moda.
Quando insieme ai suoi compagni l’ho fatta lavorare sulla comunicazione di un progetto, lei ha scelto di occuparsi di MC1R, una sua collezione di capi… ovviamente per rossi (poi proprio in quei giorni ho scoperto una rivista con lo stesso nome, gliel’ho mostrata e da allora lei non se ne perde un numero).

Ma alle testerosse, ai redhead, agli “affetti” da rutilismo è dedicata anche la collezione che Alessia, con le lentiggini che probabilmente staranno diventando luminescenti per la tensione, presenterà dopodomani a Venezia durante la sfilata finale di Fashion at Iuav, il graduation show, l’evento per il quale le ragazze e i ragazzi della triennale e della magistrale di Iuav Design della Moda si preparano più o meno da quando mettono piede per la prima volta nella scuola.

(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)

The strawberry blonde who thinks she is a redhead, così si intitola il progetto di Alessia, che per realizzarlo ha portato avanti una complessa e articolata indagine su se stessa e sul suo essere rossa, trasformandosi nell’oggetto di una sorta di auto-fiction: protagonista, narratrice e direttore creativo allo stesso tempo, ha scelto però di guardarsi anche attraverso gli occhi degli altri.

Ha cominciato da un particolare curioso: «Ricordo ancora le parole della mia parrucchiera: “conserva dei ciuffi di capelli, così vedi se col tempo il colore cambia”. Lei pensava che sarebbe cambiato», mi ha raccontato.
Lei, quella scatola di latta piena di ciuffi speciali ce l’ha ancora. E assicura che non sono mai cambiati, oggi come quand’era piccola. Mai.
«Ma poi un giorno le persone hanno cominciato a dirmi: “ma non sei più rossa, sei bionda!”».

(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)

Dopo aver analizzato il rutilismo nella storia, nell’arte, nella letteratura, Alessia ha chiesto ad alcune studentesse più giovani di studiare i suoi vecchi progetti e realizzare loro un moodboard, da cui poi è partita per costruire la collezione, lasciando al contempo “la finestra aperta” ad input esterni (li ho ossessionati, gli studenti, con questa cosa della finestra aperta, del saper accogliere l’inaspettato), che nel suo caso sono arrivati da un’artista, India Salvör Menuez — non devo stare a precisare che è rossa pure lei, giusto?

E poi è entrata in scena Giulia, Giulia Agostini, una bravissima fotografa di Padova che ebbi l’onore di intervistare ormai cinque anni fa.

(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)

Chiamata a collaborare per dare una visione, per definire e un po’ anche ri-definire l’immaginario della collezione, Giulia ha collaborato intensamente con Alessia in un incontro/scontro di personalità forti, dando vita a un progetto nel progetto — quello che puoi vedere in queste foto.

«Alessia mi ha dato un pacchetto molto chiuso e definito ma mi sono sentita libera di muovermi al suo interno. Ne è nato un servizio di moda pieno di elementi da “togliere o lasciare”», mi ha raccontato Giulia.
Funzionava all’incirca così: “lo lasciamo o lo togliamo l’estintore appeso alla parete su quella foto)”
“Lasciamolo dai”.
E così via.

Giulia ha scelto così di seguire l’istinto, dandosi come unica regola quella di usare la pellicola.
«Non mi interessava fare bene. Ho voluto sperimentare e lasciarmi andare, conservando anche scatti che in altre occasioni avrei scartato. A volte si deraglia e quello che ne esce mi stupisce sempre».
Questo, inutile dirlo, vale pure per chi non è rosso.

(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
(foto: Giulia Agostini)
Un messaggio

Frizzifrizzi è sempre stato e sempre rimarrà gratuito. Si tratta di un progetto realizzato ogni giorno con amore e con impegno. La volontà è di continuare a farlo cercando di tenere al minimo la pubblicità. Per questo ti chiediamo una mano — se vorrai — con una piccola donazione. Potrai farla su PayPal.

GRAZIE DI CUORE.