HuaFans Experience: tocco dopo tocco, il nostro rapporto coi “cosi” tecnologici si può dire “carnale”?

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Da quando i nostri telefoni-che-non-sono-più-telefoni (“intelligenti” mi pare esagerato, fossero telefoni intelligenti risponderebbero direttamente loro alla tizia del call-center con la voce svogliata, metterebbero eternamente in attesa i pr scocciatori con musichette diabetiche, chiamerebbero e richiamerebbero di propria iniziativa, fino allo sfinimento, il tizio che deve farti il bonifico).
Da quando i “cosi”, dicevo, abbiamo cominciato ad accarezzarli, solleticarli, pungolarli con la punta delle dita, a portarceli ovunque, perfino in bagno (passivi-aggressivi come sono non te lo dicono mica «accarezzami sulla tazza del cesso» ma, ammiccanti, si fanno capire); da quando abbiamo cominciato a parlarci, a riempirli di domande assurde, a chiedere consigli… Beh da quel momento credo che il nostro rapporto con loro si possa definire “carnale”, sebbene tecnicamente quelli fatti di carne siamo solo noi (per ora).

Al momento le uniche capacità sensoriali/sensuali attive dei “cosi” sono puramente visive (il display, la torcia/flash) e uditive (la musica, la suoneria, la vibrazione, anche se quest’ultima in effetti rientra nel tattile).
In attesa che pure loro riescano a titillarci, a leccarci, ad emettere odori e puzze(tte), le aziende produttive si sfidano a colpi di tecnologie che aumentino la percezione passiva. Ed ecco che dalla semplice reazione a un tocco si è passati al riconoscimento del numero delle dita in azione e ora pure della pressione del dito.

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Uno dei primi “cosi” a farlo è lo Huawei Mate S, il modello di punta dell’azienda cinese Huawei, che l’ha presentato a Berlino a inizio settembre durante l’IFA 2015, la principale fiera europea dell’elettronica di consumo.

A che serve quello che loro chiamano Force Touch o tocco 3D? Chiedilo a bambini, che quando gli dai un “coso” in mano credono che premendo più forte la musica sia più potente, il colpo di spada magica più letale, il rifiuto della chiamata in arrivo dai nonni più perentorio.
In realtà, a che serve il tocco 3D ce lo spiegheranno col tempo gli sviluppatori delle applicazioni. Per ora però, ad esempio, puoi pesarci una mela (in più visto che da queste parti capita spesso di fare interviste, talvolta con uno dei telefoni-che-non-sono-più-telefoni della concorrenza, altre con un registratore, ma quasi sempre si fa fatica poi a sbobinare per via dei rumori d’ambiente e delle voci che arrivano da chissà dove e che non c’entrano niente.

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Per non parlare degli orologi, che dopo aver lentamente tolto dai polsi—che tanto, coi “cosi” in tasca, a che ti serve un orologio?—ora stanno tornando a vendicarsi, “intelligenti” pure loro, capaci di darti colpetti come a dire «sveglia!», «alza le chiappe da lì!», «guarda che è il compleanno della morosa, è il compleanno!», di spiarti i parametri vitali mentre corri per fatti tuoi alle 5,00 del mattino per buttar già la panzetta e poi scattarti un selfie da mettere su Instagram con l’hashtag #running (ma quando i “cosi” potranno registrarti pure la puzza di sudore come la mettiamo coi selfie?).

Ché poi si mascherano pure, gli “orologi-cosi”, e sembrano di quelli vecchia scuola, analogici, con dentro tutti gli ingranaggini e ticchettà, e invece è un display pure quello—«toccami, sfiorami, accarezzami», dice—che simula il rassicurante passato ma è pronto per tirar fuori di tutto e di più.

Però la gente—la famosa/famigerata gente, che nonostante il tentativo di prenderne le distanze usando la terza persona, siamo comunque sempre noi—però la gente pare apprezzare. Guardati il video in alto, realizzato appunto all’IFA di Berlino, in cui “Huaweisti” di tutto il mondo sono stati invitati a provare i nuovi apparecchi—appunto lo Huawei Mate S di cui sopra e lo Huawei Watch—raccontando la “toccante” esperienza in un inglese zoppicante dalle mille sonorità.

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