Art of Burning Man: un nuovo libro di Taschen mostra le foto degli ultimi sedici anni di festival in mezzo al deserto

Il Burning Man è uno di quei fenomeni tipici della cultura degli Stati Uniti d’America, possibili e spiegabili solo in quanto totalmente, profondamente e intimamente “americani” come pure lo sono Las Vegas, il Midwest, la Silicon Valley (e lo spirito su cui affonda le radici) e gli USA stessi.

Non una semplice festa o un rave per decine di migliaia di partecipanti, non solo un parco dei divertimenti psichedelico, né soltanto un rito e neppure una (pur bizzarra) città temporanea che appare e scompare in mezzo al deserto del Nevada nel giro di otto giorni, dall’ultimo lunedì di agosto al primo lunedì di settembre, e si conclude bruciando un enorme pupazzone di legno (da qui il nome): il Burning Man, dal punto di vista culturale è una singolarità, nell’accezione matematica del termine e cioè “un punto in cui un ente matematico, per esempio una funzione o una superficie, ‘degenera’, cioè perde parte delle proprietà di cui gode negli altri punti generici”; o nell’accezione fisica di singolarità gravitazionale, “un punto dello spaziotempo in cui il campo gravitazionale ha tendenza verso un valore infinito”, come il nucleo di un buco nero, o lo stesso Big Bang.

Il Burning Man è un momento e un luogo in cui tempo e spazio (nonché ragione) perdono di significato. Dove vengono costruiti tempi in onore di strane religioni pagane, dove si va in giro nudi o colorati da capo a piedi o vestiti nel modo più assurdo possibile. Dove si fanno grigliate e vedi arrivare Zuckerberg di Facebook in elicottero a girare salsicce sulla brace. Dove i manager delle start up milionarie si fanno di allucinogeni col loro staff. Dove per entrare paghi un biglietto di qualche centinaio di dollari, dove gli storici “aficionados” criticano la recente gentrificazione dei nuovi paperoni del web. Dove qualcuno di tanto in tanto ci lascia la pelle. Tutto nello spirito dei 10 principi che regolano l’evento. Come dicevo prima: una cosa del genere è possibile solo in America.

Nato nell’86 in quel di San Francisco (durante la prima edizione parteciparono in 20; l’ultima, quella del 2014, erano 65.922), il Burning Man si è poi spostato nel Black Rock Desert, in Nevada, nel 1990. Il fotografo canadese NK Guy partecipa dal 1998 e sono proprio le sue foto le protagoniste di Art of Burning Man, nuovo libro pubblicato da Taschen che riassume sedici anni (e oltre 65.000 scatti realizzati) passati dall’artista a Black Rock City, la città temporanea, e che mostra le meraviglie e i cambiamenti degli ultimi sedici anni di quella che Guy chiama la “più grande galleria d’arte a cielo aperto del mondo”.

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