Se niente è solo ciò che sembra: Jonathan Monk in residenza artistica al Museo Carlo Zauli di Faenza

Cassetta in ceramica (fase della lavorazione)
Cassetta in ceramica (fase della lavorazione)

Un invito a prendere parte all’Open Studio di Jonathan Monk, in occasione della 12esima Residenza Artistica curata dal Museo Carlo Zauli di Faenza. E un dubbio: cosa sarà un Open Studio? Se uno più uno fa due, eccomi sul treno pronta a farmi sorprendere. Perché l’allenamento a lasciarmi prendere in contropiede con tranquillità è l’unico che io riesca ad affrontare in questi giorni di caldo che inzuppa la spina dorsale.

Posto che non ho raggiunto il mio obiettivo primario, capire cioè in cosa consista di preciso un Open Studio — ma questo perché ero distratta dalle continue meraviglie che un laboratorio di ceramica può offrire, soprattutto quando hai il permesso di infilare le mani dove vuoi — la minigita si è presto trasformata però in un momento di intima conoscenza con i misteri dell’argilla, per regalarmi poi un impreparato viaggio di ritorno verso casa insieme a Jonathan Monk, l’Artista. Che paziente si sforza di decifrare il mio inglese e risponde alle mie domande dichiaratamente naif a proposito di ARTE (bocca piena di A e gli occhi debordanti di rispetto) e dintorni.

Jonathan Monk
Jonathan Monk

Partendo dalla fine, troppo surreale per essere raccontato il nostro dialogo, tra constatazioni sui tempi dei treni italiani (e inglesi) e più intriganti toccate e fughe intorno all’Arte concettuale, terreno difficile su cui muovermi per me, ingenuotta e profana che non sono altro.
Che dire? Combinare la visione di un’artista con la capacità di qualcuno che della materia ha più esperienza, l’assenza di un legame preferenziale tra artista e tecnica specifica, tutto questo spazio libero mi disorienta, io con la mia mania rassicurante per le etichette facili. Eppure Quelli del Museo Carlo Zauli (per gli amici MCZ) hanno dichiaratamente scelto di invitare ad ognuna delle loro Residenze Artistiche solo ospiti che non fossero pratici di argilla e ceramica, ma disponibili a sperimentare insieme nuove strade.

E anche oggi è andata in questo modo: una collaborazione che ha visto le idee di Jonathan Monk diventare prima progetti e poi oggetti grazie all’affiancamento esperto del Museo.
Seducente in modo particolare il suo progetto di ricostruire, di tradurre, in ceramica una Cassetta da Frutta.
Piegare l’argilla ai principi della cartotecnica, travestirla da altro, non è stato affatto semplice, raccontano. Hip hip hurrà per la versatilità della materia, però, e delle mani abili dei ceramisti del museo. Ma anche un hip hip hurrà per l’estemporaneo coinvolgimento di noi ospiti nell’assemblaggio in diretta del secondo prototipo, immortalato nell’aristocratica Foto di Famiglia con Cassetta.

Cassetta in ceramica
Cassetta in ceramica

Come dicevo Jonathan Monk è tornato a casa, ma sarà di nuovo a Faenza a settembre, per compiere ed esporre il risultato della residenza. Io intanto mi preparo e lo aspetto. Comincio con il leggermi questa sua chiacchierata con David Shrigley, che conosco per via del suo recente Weak Messages create bad situations. Solo due indizi per un altro progetto autunnale di Jonathan Monk presso la Noire Gallery di Torino: alcune finte borse griffate acquistate dagli ambulanti ma soprattutto la carta di giornale che le riempie per tenerle in forma.

Ma torniamo indietro, al nostro ospite, il Museo Carlo Zauli: nato nel 2002 dalla trasformazione dall’atelier dello scultore Carlo Zauli in spazio dedicato a raccontarne il lavoro, a parlare di ceramica e di arte contemporanea, oggi al Museo ne inventano continuamente di nuove. Come ospitare tra le sue mura un FabLab. Sì, proprio un Lab di makers, quelli che con stampante 3D e macchine affini possono cimentarsi nella creazione di ogni cosa. Lo stesso FabLab che animerà La calda estate dei Makers, all’interno del programma di MCZ Padiglione Estate, rassegna estiva al Museo. Aperitivo in giardino, workshop, incontri, mini concerti, fino all’11 settembre, ogni mercoledì, giovedì e venerdì.
Un Museo non deve sempre sembrare solo un Museo, insomma.

Ossa (Daniel Wetzelberger)
Ossa (Daniel Wetzelberger)

Ancora due note. Dopo l’incontro al MCZ, veniamo tutti guidati allegramente per le vie del centro verso la mostra, purtroppo appena terminata, A nessuno il suo del collettivo MAD costituito per l’occasione (acronimo dei nomi propri di Monika Grycko + Abdon Zani + Daniel Wetzelberger).
Sarebbe stata una mancanza emotiva irrispettosa non ricordare quel metafisico e composito tappeto di ossa bianche (in ceramica), che ha immediatamente richiamato dal mio immaginario televisivo una Scena del Crimine. Bones [NdR: la serie TV] mi suggerisce Daniel Wetzelberger, l’autore, dato che questa è la classica osservazione intelligente che non riesco proprio a tenermi per me. Ma lui guadagna un sacco di punti con questa risposta e il suo paziente aplomb.

Ogni osso modellato a mano. Se ne prendi uno riesci a immaginare il gesto, ne senti in qualche modo l’energia e non so come ne subisci tutto il fascino. Vicino alle ossa alcuni cagnolini (ancora ceramica, di Monika Grycko) — e anche qui per me è come sparare sui piccioni — dagli occhioni tondi che fissano in modo sinistro un neon lampeggiante, circondato da una parete di pistole (ovviamente anche queste in ceramica, di Abdon Zani) puntate verso lo spettatore. Non me ne intendo, ma mi sarei portata a casa tutto. No, magari il neon no.

Infine, ultima tappa Tesco e la mostra Ogni mio presente di David Casini, dove mi spiegano amorevoli la complessità di ogni singolo pezzo, che sembra fatto di qualcosa ma in realtà è di altro. Come la composizione di solidi geometrici che paiono pietre dure, ma sono di carta costruita come un origami con pieghe perfette o le mini architetture in ceramica appoggiate su minerali.
“I gufi non sono quello che sembrano”, si sentiva dire spesso in Twin Peaks.

David Casini
David Casini
David Casini
David Casini
editorialista
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